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L’IMPROVVISO SUCCESSO DI TORO
10 Ott 2011 18:01
Questo vale anche per i vini spagnoli, che si possono reperire solo in qualche enoteca molto ben fornita e dove è possibile trovare ben poco, oltre a qualche etichetta di Rioja, Ribera del Duero, Jerez, meglio conosciuto come Sherry, e qualche etichetta catalana.
È comprensibile che il nome della DO Toro (DO sarebbe la nostra corrispettiva DOC) non dica molto agli italiani. Questa denominazione fa capo alla città medievale di Toro, nella regione Castilla y León, vicina al confine portoghese lungo il corso del fiume Duero, e conta 5000 ha di vigneto.
In questa zona la viticoltura è da sempre presente e, sebbene in passato godesse di una certa fama per i suoi vini (basti pensare che la cattedrale di Santiago de Compostela possedeva vigneti in questa zona), ha subito un irrimediabile crollo nel corso degli anni. I vini di Toro, prima degli anni Novanta, erano decisamente rustici, aggressivi e per lo più mediocri. Il motivo era lo spiccato ritardo, che ha caratterizzato molte zone vitivinicole spagnole, al di fuori delle zone più blasonate, in fatto di ammodernamento nella lavorazione dell’uva in cantina. Toro, però, contava un altro motivo per la particolare rusticità dei propri vini. La zona vitivinicola di Toro è particolarmente arida, si parla di precipitazioni annue intorno ai 350 mm, un clima quasi desertico. Condizione questa che richiede estrema attenzione per lo stato del vigneto.
Negli anni Ottanta alcuni produttori provenienti da altre zone vinicole spagnole si accorsero che, nonostante la ruvidezza di questi vini, essi possedevano una certa stoffa. Si assistette così negli anni Ottanta a un discreto interesse per la zona da parte di alcune cantine della Rioja e della Ribera del Duero. Che la zona diventasse sempre di maggior interesse lo si capirà quando Vega Sicilia, una delle aziende più importanti della Spagna, se non la più importante, deciderà di dare avvio alla costruzione di una “bodega”, ossia cantina, nella zona di Toro, per produrre quella che sarà una delle etichette più blasonate di questa DO: il Pintia.
Per comprendere a pieno cosa abbia significato questo boom vitivinicolo della zona di Toro, basta tenere conto del numero di cantine presenti dal 1998 al 2006. Nel 1998 erano otto le cantine presenti e diverranno quaranta nel 2006.
Nonostante la scarsissima piovosità, al limite per la viticoltura, la zona è particolarmente adatta alla vite per l’alta latitudine, siamo sui 600-750 metri sul livello del mare, che garantisce grandi escursioni termiche tra il giorno e la notte, evitando così che i grappoli d’uva vengano arroventati dal caldo e dalla siccità. Queste escursioni termiche donano all’uva una spiccata nota fruttata all’olfattiva, che è uno dei caratteri certi dei vini di Toro. Allo spiccato sentore fruttato va aggiunta la grande struttura che caratterizza questi vini, con in più una certa componente acida e una buona presenza tannica dovuta per lo più alla tinta di Toro, l’uva più diffusa della DO.
La DO è stata assegnata nel 1997, abbastanza recentemente, e una produzione più variegata si è avuta verso il 2000. È difficile avere per un consumatore un ritratto vero e proprio del carattere dei vini di Toro. Questo perché la presenza di grandi aziende inserite nel mercato globale ( basti pensare ai fratelli Lurton che hanno fondato una joint venture con Michel Rolland, o a Gérard Depardieu) rende difficile imbattersi in vini di stampo tradizionale. I vini della maggior parte delle cantine, infatti, sono di stampo internazionale, quindi particolarmente barricati con al naso sensazioni vanigliate. L’inserimento, poi, di vitigni internazionali come il cabernet e il merlot certo non aiutano a delineare il carattere dei vini di Toro. È, molto difficile, ma comunque possibile, reperire alcune bottiglie di produttori più tradizionali, che possono aiutare a capire le buone potenzialità, ma anche i limiti, di questa zona vitivinicola.
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