LE INFEZIONI OSPEDALIERE: UNA STRAGE QUOTIDIANA

E’ recente la notizia dello scandalo abbattutosi sul Policlinico Umberto I di Roma:

107, tra medici ed infermieri, indagati per omicidio colposo di una donna morta per setticemia.

Notizie come questa balzano agli onori della cronaca solo di tanto in tanto, dando l’erronea percezione di “sporadici” casi di malasanità. Non è così.

Fatti simili a questo accadono incessantemente, provocando in media circa 20 decessi al giorno in tutta Italia.

Stiamo parlando delle infezioni ospedaliere, cioè infezioni insorte durante il ricovero in ospedale (oppure dopo le dimissioni del paziente), che al momento dell’ingresso non erano clinicamente manifeste, né in incubazione.

Tali infezioni colpiscono il 5-8% dei ricoverati e molto spesso si rivelano letali. Ogni anno in Italia si stimano 450-700 mila casi di infezioni ospedaliere che provocano la morte di circa 7000 persone e un costo per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) superiore ad 1 miliardo di euro.

La pericolosità di queste infezioni è da ricercarsi nella capacità di alcuni ceppi batterici di resistere alle terapie antibiotiche. Tale capacità è una acquisizione che avviene già in natura in tempi lunghissimi e in diversi modi, soprattutto per mutazioni genetiche e conseguente selezione, ma che oggi si sta velocizzando e diffondendo per l’uso improprio degli antibiotici. Purtroppo gli ospedali possono rappresentare l’ambiente ideale per lo sviluppo di batteri antibiotico-resistenti poiché in uno spazio ristretto si concentra un elevato numero di persone che introducono e veicolano i microrganismi per contatto diretto, soprattutto tramite le mani, o attraverso un veicolo contaminato (endoscopi, strumenti chirurgici, sangue ecc.) o per via aerea. I batteri inoltre sono soggetti a fattori quali una costante pressione selettiva (per l’uso frequente di antibiotici) e un’altissima possibilità di poter condividere geni che conferiscono la resistenza agli antibiotici (acquisizione genetica tramite plasmidi, trasposoni, virus, coniugazione, o naked DNA ). Le infezioni più comuni contratte in ospedale sono quelle delle vie urinarie 30-40%, delle ferite chirurgiche 15-29%, le batteriemie 3-8%, le infezioni delle vie respiratorie 16-18%, meningiti, epatiti, coliti ecc 17-19%. Gli ultimi dati sull’antibiotico-resistenza dell’Istituto Superiore di Sanità rivelano un dato preoccupante: l’aumento di 10 volte della percentuale di ceppi di Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi, una classe di antibiotici che è sempre stata considerata come “salva vita” nelle infezioni gravi da microrganismi resistenti agli altri antibiotici. E’ dimostrato che i casi di infezioni sono correlati alla durata della degenza e all’utilizzo spesso prolungato di cateteri, drenaggi e intubazione; tuttavia non tutte le infezioni sono prevenibili. E’ quindi opportuno sorvegliare selettivamente quelle che sono attribuibili a problemi nella qualità dell’assistenza. Negli anni ’70 ci si orientava sulle procedure dell’assistenza sanitaria e sulle pratiche di disinfezione e sterilizzazione. Negli anni ‘80, invece, con la diffusione dell’AIDS e dei microrganismi resistenti agli antibiotici, quali Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA), Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter spp. multiresistenti era predominante il controllo dei costi, soprattutto evidente negli Stati Uniti. In questi anni i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) cominciarono ad elaborare le prime linee guida per la prevenzione ed il controllo delle infezioni ospedaliere e fu avviato un programma di sorveglianza attiva, il National Nosocomial Infection Study (NNIS), tutt’oggi funzionante. I dati degli ultimi dieci anni dell’NNIS riguardanti gli Stati Uniti, riflettono le acquisizioni della storia di sorveglianza, ed in particolare l’evidente diversificazione del rischio nei vari reparti ospedalieri. I microrganismi Gram-positivi hanno rappresentato i patogeni isolati più frequentemente (50%), mentre i Gram-negativi ne rappresentano il 40%. Escherichia coli è stato il microrganismo più frequentemente isolato (circa il 16% per anno), seguito da P. aeruginosa e S. aureus; al quarto posto Enterococcus faecalis e, dal 1995, al quinto posto Staphilococcus epidermidis. Un recente rapporto Consensus della Society for Healthcare Epidemiology of America raccomanda che ogni programma di controllo delle infezioni in ospedale includa la determinazione della clonalità dei microrganismi responsabili. Tale approccio si è dimostrato vantaggioso, sia dal punto di vista sanitario che economico. Un valido programma di controllo delle infezioni ospedaliere, che sia in grado di indicare quando è necessario intervenire e dove indirizzare gli interventi, non può prescindere da un sistema di sorveglianza attiva in reparto, orientata cioè al paziente. Anche se richiede un notevole dispendio di risorse, consente però maggiori efficienza ed accuratezza col vantaggio di correlare l’infezione ai fattori di rischio e poter effettuare così confronti interospedalieri e fra reparti. In Italia sono state condotte varie esperienze di sorveglianza prospettica utilizzando gli indicatori del NNIS System ma non esiste una rete nazionale coordinata per la sorveglianza delle infezioni ospedaliere né un sistema di validazione e riferimento su base nazionale. Anche l’ Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia, come stabilito dalle circolari di recepimento delle disposizioni regionali (n° 423/88 e 555/90, n° 1034/2000 e 1047/2001) e dal PSR 2000-2002, ha indicato tra le principali azioni quella di attivare “programmi per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle infezioni ospedaliere, orientata sia ai pazienti sia agli Operatori Sanitari”. In riferimento al fatto di cronaca sopracitato, il Presidente della Commissione d’inchiesta sul Sistema Sanitario Nazionale Ignazio Marino spiega: «Può accadere che nei nostri ospedali si concentrino batteri potenzialmente letali, soprattutto in reparti come la terapia intensiva. E’ chiaro che il nostro sistema ospedaliero dovrebbe essere oggetto di controlli scientifici, sistematici e capillari per garantire l’incolumità di pazienti e operatori: servono dati scientifici che comprendano il numero e la tipologia di infezioni nei reparti dei nostri ospedali, un monitoraggio che in altri Paesi avviene regolarmente. E, a mio parere, la raccolta e l’analisi uniforme di questi dati dovrebbe essere affidata a una autorità indipendente dalla politica, una sorta di garante della salute». «La conoscenza delle criticità del sistema – continua Marino – ci permetterebbe di individuare più agevolmente misure efficaci per ridurre al minimo l’incidenza di morti per infezioni ospedaliere. Insomma, è difficile chiedere a medici, infermieri e tecnici di migliorare lo standard della qualità delle cure, se non possono sapere con precisione quali sono le criticità da combattere nel loro ospedale».Orlando Armignacco, Presidente Simit Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali sottolinea: «E’ la nostra esperienza nella pratica quotidiana clinica di reparto quella di confrontarci con infezioni molto gravi da curare che possono insorgere in ospedale Concordiamo appieno con la valutazione del Sen. Marino. Bisogna operare in tutti i modi affinché non si ripetano simili episodi, tuttavia una degenza così prolungata e le condizioni generali del paziente condizionano la comparsa di infezioni gravi e di germi resistenti che circolano in ospedale». Il Prof. Massimo Andreoni, primario di malattie infettive a Tor Vergata dichiara: «Questo caso non sorprende. Questi incidenti sono molto frequenti: il lungo ricovero in ospedale, in questo caso più due mesi, una patologia sottostante che riduce le capacità di difese dell’organismo e una lunga terapia antibiotica sono tutte condizioni che espongono il paziente alla possibilità di un’infezione. In particolare per alcuni reparti la probabilità è ancora più alta: si tratta di germi ormai diventati resistenti alla maggior parte dei farmaci che noi utilizziamo. Sono indispensabili strategie che mirino alla valutazione della circolazione di germi in ospedale al fine di demonizzare la loro presenza. La possibilità che un paziente muoia per un germe multiresistente è frequente in qualsiasi ospedale, in Italia e nel Mondo». Da qui la necessità di costruire una rete di sorveglianza delle infezioni ospedaliere.

 

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