LE DUE ANIME DEL CERASUOLO DI VITTORIA

L’unica DOCG della Sicilia è un taglio tra due vitigni a bacca rossa. Da una parte c’è il nero d’Avola con una percentuale, che può oscillare dal 50% al 70%; dall’altra il frappato, che ricopre la parte rimanente, quindi, dal 50% al 30%.

Il primo è il più conosciuto vitigno dell’isola, nonostante non sia il più coltivato. Come si deduce dal nome, il suo territorio d’origine è situato nella parte sud-orientale dell’Isola. Molto si è discusso sulla sua effettiva origine. Un’ ipotesi sosteneva che fosse originario della Calabria, da qui l’altro nome con cui è conosciuto: calabrese. Questa ipotesi, però, sarebbe da escludere, poiché il nero d’Avola non ha lasciato tracce della sua presenza in Calabria. Oggi, il nero d’Avola presente in Calabria è stato importato recentemente dalla Sicilia. Inoltre, a sostenere l’origine siciliana di questo vitigno, vi è l’ipotesi che ritiene il nome calabrese una errata traduzione dal siciliano all’italiano. Calabrese deriverebbe dal termine dialettale calaurisi, ovvero “calea”, uva, più “aulisi”, di Avola. D’ipotesi sulla sua origine, però, ve ne sono ancora tante. Certo è che se questo vitigno fosse stato presente in Sicilia anche prima e durante la dominazione araba, la sua origine sarebbe greca, come la quasi totalità dei vitigni adatti alla vinificazione. Il clima, il territorio e il trascorrere del tempo ne hanno mutato il profilo, rendendolo un vitigno autonomo, che ha trovato nel siracusano un posto ideale dove crescere. Fino a non molto tempo fa, la sua presenza era quasi limitata a questa zona sud-orientale. La richiesta di vino di Pachino, ossia nero d’Avola, da parte dei francesi, colpiti duramente dalla fillossera, e lo spazio sempre più ampio che si stava ritagliano il vino rosso tra gli intenditori, spinse alcuni imprenditori siciliani a coltivare il nero d’Avola anche in altre zone della Sicilia. Oggi esso è presente ovunque nell’Isola, ma dove ha dato risultati notevoli è stato nell’agrigentino e nella zona sud della provincia di Caltanissetta.

Il secondo vitigno del Cerasuolo di Vittoria è il frappato. Questo sì ha dei veri e propri legami con la Calabria o quanto meno ha un parente molto stretto in quella regione. La sua diffusione è stata limitata per molto tempo solo nel ragusano e le zone limitrofe del netino e del catanese. I tentativi di coltivarlo in altre zone della Sicilia sono molto recenti e molto esigui. È presto, quindi, per dare un giudizio su questi tentativi. Resta, quindi, il frappato un vitigno esclusivamente circoscritto nella zona della DOCG Cerasuolo di Vittoria. Il suo parente stretto della Calabria è nientemeno che il gaglioppo, da cui nasce una celebre DOC calabrese, il Cirò rosso, vino tutt’oggi sottovalutato a causa di un passato costellato da scelte di vinificazione tutt’altro che felici.

Si riconduce la nascita del Cerasuolo di Vittoria al 1607, anno della fondazione della città di Vittoria. Sembra che il quella occasione, Vittoria Colonna Henriquez, a cui l’omonima città deve il nome, donò a un certo numero di coloni un ettaro di terreno a testa, a condizione che un altro ettaro di terreno fosse coltivato a vigneto. Far risalire la nascita del Cerasuolo di Vittoria a questo fatto storico è forse azzardato. Certo è che il Cerasuolo non ebbe vita facile in passato, sia perché era usanza possedere una vigna mista, ossia varietà diverse di viti, anche nel colore, che venivano vinificate tutte assieme per dare un unico prodotto; sia perché il frappato è un vitigno problematico. Il frappato possiede un grappolo molto serrato, che può creare dei grave problemi durante la maturazione. Gli acini essendo tutti a contatto, durante la maturazione e quindi la loro crescita in volume, spesso non trovano lo spazio per espandersi e perciò si verifica di frequente la spaccatura delle bucce di alcuni acini. Questi acini danneggiati, se non vengono tolti prima della vinificazione, possono compromettere il prodotto finale. Una volta non era infrequente imbattersi in bottiglie di frappato con chiare sensazioni di marciume, che rendevano imbevibile il vino.

Oggi si hanno opportune conoscenze per evitare questi errori del passato e si è potuto così recuperare un vitigno difficile, che ha subito l’emarginazione. Il recupero del frappato è una vera fortuna, poiché esso è capace di dare al vino chiare sensazioni di macchia mediterranea, che arricchiscono nel Cerasuolo di Vittoria il nero d’Avola.

Questi due vitigni possono dalla loro unione dare risultati diversi. Ecco perché il Cerasuolo di Vittoria ha due anime. Una è il nero d’Avola con colorazione impenetrabile, un fruttato scuro e denso che ricorda la confettura, un floreale di viola appassita, nelle migliori versioni una mineralità di graffite o ferro, una buona o grande morbidezza, un’acidità contenuta e un tannino troppo volte impercettibile. Il frappato, invece, schiarisce il colore, non intacca la morbidezza e il tannino, ma dona al vino sensazioni di macchia mediterranea e un fruttato molto più elegante. La durezza del vino, per equilibrare le parti morbide, è data soprattutto dalla sapidità, poi dall’acidità e infine dal tannino.

Sarà il produttore a decidere se darà al vino un carattere più da nero d’Avola o più da frappato. Tenendo presente, però, che il carattere del Cerasuolo non si giudica soltanto dalla percentuale del taglio della presenza dei vitigni. Ossia, non è detto che un Cerasuolo di Vittoria che presenta un 50% di frappato ricordi più questo vitigno, di una bottiglia che magari ne contiene soltanto il 40%.

Un esempio concreto è il Cerasuolo di Vittoria Classico Barocco della cantina Avide e il Cerasuolo di Vittoria Classico Manene della cantina di Paolo Calì. Ambedue presentano la stessa percentuale nel taglio, ossia 60% nero d’Avola e 40% frappato, ma quello di Avide tende più al nero d’Avola, grazie all’uso del legno, mentre quello di Paolo Calì tende più al frappato, grazie all’uso dell’acciaio.Sta al consumatore decidere se preferisce un Cerasuolo di Vittoria più propenso verso il nero d’Avola o più propenso verso il frappato.

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