È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
L’arte di abbioccarsi era nostra, ora la vogliono gli altri
24 Ago 2024 08:20
Migliora la prontezza e il tempo di reazione. Ritarda il calo di attenzione e riduce il rischio di morte per malattie. Per secoli, in molti cosiddetti Paesi occidentali hanno sfottuto la pratica del riposino pomeridiano, usanza degli abitanti di Italia, Spagna, Grecia, Francia, Centro e America del Sud. Stranamente loro – gli occidentali, intendo – la chiamano “siesta”, dalla sesta ora latina dopo l’alba. Noi, discendenti dei Romani, pennichella.
Abbiamo sempre saputo che l’abbiocco post prandiale fosse del tutto naturale. L’inglese Economist e lo statunitense Washington Post hanno dedicato di recente due articoli in cui emerge lo stupore dei turisti d’oltre Manica e oltre Oceano di trovare i negozi chiusi dalle 13 alle 16-17 nel Sud Europa. Approfondendo la faccenda, i due giornali hanno rinvenuto diversi studi che confermano la bontà dell’abitudine di dividere la giornata con una pausa ristoratrice, tra l’altro nelle ore più calde. Una ricerca dell’Università di Harvard, tra le più prestigiose nel mondo, effettuata su un campione di 23mila greci, ha rilevato un aumento del 37% del rischio di morte per malattie tra coloro che avevano abbandonato la pratica, soprattutto tra gli uomini che lavoravano senza sosta pomeridiana. Su quest’ultimo aspetto occorrerebbe una riflessione: il 60% degli spagnoli non fa più la siesta e quelli che lo fanno più spesso è in realtà un momento ricavato nei giorni liberi. Non esistono approfondimenti, ma l’impressione è che anche dalle nostre parti l’abitudine al riposino stia progressivamente scemando.
Alcuni decenni fa era quasi un obbligo, specialmente dalla primavera in poi, quando la luce solare prendeva il sopravvento sul buio e le giornate “si allungavano”, ma solo per errata percezione. L’usanza dei ragazzi di riunirsi in strada fra le 14 e le 15 era zittita da minacce di ritorsioni genitoriali o autorizzata soltanto per giochi che prevedevano brevissimi dialoghi, appena sussurrati.
Nel 1980 la pennichella diventò perfino argomento della sigla iniziale di “Domenica In”. Un ossimoro, visto che invitava all’ascolto televisivo nell’ora perfetta per metterla in atto, cantata in romanesco da Nino Manfredi su testo e musica di autorevoli autori come Broccoli, Perretta, Verde e Caruso: “Lo sai perché la gente s’arrovella/ e dice che la vita nun è bella?/ Perché je tocca de campà de corsa/ e stretta in una morsa/ non c’ha più il tempo per la pennichella/ ossia quella mezz’ora di dormita che se faceva nonno/ La quale dentro il treno della vita/ è il supplemento rapido del sonno”.
Oggi non ci sono più ragazzi che si ricorrono per strada e il tempo per il riposino è riservato a pochi, abitudinari cultori. Corriamo sempre appresso a qualcosa, anche se trascurabile, spesso in balìa di un tiranno che risponde al nome di “telefono cellulare”. Potremmo fare nostro l’ex celebre motto della pubblicità di un amaro ancora oggi in voga: “Fermate il mondo, voglio scendere!” E, invece, continuiamo a correre come formiche senza soluzione di stagione.
Fra i vip va di moda la vacanza estiva in monasteri o centri salute dove per prima cosa bisogna spegnere e consegnare lo smartphone, per tutto il tempo della permanenza. Un gesto semplice, pagato a suon di migliaia di euro.
Eppure una dormita di 30 minuti a metà giornata, su una sedia a dondolo o una poltrona bassa, con le persiane non del tutto accostate perché si percepisca il brusìo del mondo, dovrebbe essere obbligatoria (e gratis) per tutti, non soltanto riservata ai bambini della scuola dell’Infanzia.
Un po’ di tempo per noi, sottratto alla superficialità della connessione continua cui ci siamo relegati. Inglesi e americani ora lo stanno capendo, mentre noi, già artisti dell’abbiocco, lo stiamo perdendo. C’è sempre tempo per recuperare.
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