LA VASTEDDA DEL BELICE

A dispetto del nome che farebbe pensare a un tipo di pane o a una focaccia, con il nome di Vastedda nella Valle del Belice ci si riferisce anche a un formaggio DOP della zona.

La Valle del Belice è tristemente conosciuta per il drammatico terremoto del ’68 e per la difficile ricostruzione che ne seguì. Tutt’oggi Gibellina, città simbolo di quell’ evento, soffre le conseguenze di una politica di ricostruzione e soprattutto di sviluppo economico non sempre trasparente e preparata.

La zona del Belice è ancora esclusa dai circuiti turistici, nonostante sia abbastanza facile da raggiunge da Palermo o da Mazara del Vallo. Nonostante Gibellina Nuova conti innumerevoli costruzioni, oggi non sempre in buone condizioni, di architetti di chiara fama e nonostante Gibellina Vecchia sia un’opera d’arte a cielo aperto di Burri, non rientrano ancora nei circuiti turistici. Un po’ per la scarsa pubblicizzazione che si fa della zona e un po’ perché di norma i turisti cercano in Sicilia solo arte antica e zone balneari. Questo deficit è però colmabile con un lavoro di recupero delle opere dal degrado. Più difficile è superare l’alone di sospetto che si venne a creare intorno alla ricostruzione della zona. La forte avversità di molti critici e intellettuali, che ritenevano prioritario un piano economico per lo sviluppo del Belice, piuttosto che una ricostruzione portata avanti da grandi firme dell’architettura e ritenuta aliena alla cultura delle popolazione locale, ha posto la zona al centro di una diatriba ancora oggi non colmata.

L’economia locale è rimasta fortemente agricola e risente di un fenomeno abbastanza comune alle zone interne che è quello dello spopolamento.

La Valle del Belice, però, conta prodotti agricoli di grande pregio. Le olive del Belice, l’olio, il vino e i prodotti caseari sono di grande carattere e spesso rari, come la Vastedda del Belice; altri, invece, hanno fama mondiale, nonostante non sempre vengano associate alla zona del Belice, ma semplicemente alla Sicilia in modo generico, come i vini prodotti dalla cantina Donnafugata.

Ritornando alla Vastedda, essa prende questo nome dalla vasta, che è il piatto dove viene posta la pasta filata per darle la tipica forma ovoidale piatta che caratterizza questo formaggio fresco. Essendo un formaggio a pasta filata semimorbida, si adatta a una conservazione abbastanza lunga, anche se è preferibile consumarlo poco dopo la lavorazione. Caratteristica di grande pregio è che deriva da latte ovino non pastorizzato e la cui lavorazione è forse unica per il latte ovino. La tecnica della filatura è, infatti, comune per il latte vaccino, raro invece per quello ovino ché non si adatta facilmente alla filatura.

Un tempo la Vastedda era di difficilissimo reperimento fuori dalla zona di produzione, oggi con l’aumento della richiesta è reperibile in tutta l’isola e anche nei negozi specializzati fuori dalla Sicilia. Di conseguenza è oggi prodotta in tutto l’anno, mentre in origine si produceva solo d’estate.

A tavola, la Vastedda rientra in molte preparazioni, ma l’ideale sarebbe come antipasto assieme a delle olive, magari del Belice, in modo da apprezzare il sapore fresco e leggermente acidulo. Non disdegna l’abbinamento con un vino bianco poco acido, meglio se da uva chardonnay, ma è possibile trovare un buon abbinamento con un rosso poco tannico e con poco estratto in modo da poterlo servire anche fresco, tipo un frappato per rimanere in Sicilia.

 


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