LA VALTELLINA IN DUE PUNTATE

Negli ultimi anni la Lombardia del vino viene sempre più associata al vino spumante, anzi al Franciacorta, come i produttori/imprenditori di questa DOCG desiderano venga chiamato il loro vino spumante. Dopo una massiccia campagna pubblicitaria, il Franciacorta è riuscito a farla da padrone, oscurando, in parte, il resto della produzione lombarda. È accaduto, così, che una delle migliori zone vitivinicole d’Italia, la Valtellina, sia stata offuscata dal peso ingombrante della forza del marketing.

Questo fenomeno è possibile notarlo abbastanza chiaramente quando ci si imbatte in una pubblicazione, non italiana, sui vini e le zone vinicole del mondo. Lo spazio dedicato alla Lombardia vedrà sempre presente la DOCG Franciacorta e solo in alcune pubblicazioni più dettagliate si accennerà alla Valtellina. Eppure, questa zona incastonata al centro delle Alpi meriterebbe molta più attenzione o, per lo meno, ne merita di più rispetto alla Franciacorta.

La Valtellina si trova nel nord della Lombardia, in provincia di Sondrio. Si estende longitudinalmente lungo il corso del fiume Adda, il quale crea una vallata tra le Alpi Orobiche a sud e le Alpi Retiche a nord-est. Le vigne sono esposte a sud e, quindi, si collocano dalla parte delle alpi Retiche, dove per ben 60 chilometri sono piantati vigneti completamente terrazzati. Sebbene ci sia una piccola zona coltivata a vigne dall’altra parte dell’Adda, dove è possibile produrre sempre Valtellina DOCG, questa zona è decisamente poco vocata, perché poco esposta al sole. Sorprende il fatto che non sia stata esclusa dal disciplinare.

Le vigne esposte a sud, le uniche interessanti, sono ben esposte al sole e godono soprattutto del riparo dal vento gelido del nord offerto dalle Alpi. È questo fattore, assieme al vento caldo, chiamato Breva, proveniente dal lago di Como che in estate scalda la Valtellina, a permettere la coltivazione della vite in questa zona, altrimenti impossibile.

Nonostante possa sembrare un posto insolito per la viticoltura, qui la si praticava già prima dell’arrivo dei romani. Sebbene Virgilio e Catone già citassero questa area per la produzione del vino, sarà solo nel medioevo, con l’insediamento dei benedettini, che si innesterà il vitigno nebbiolo, chiamato localmente chiavennasca, che renderà famosi i vini della Valtellina negli anni a seguire.

La maggiore impressione che si ottiene ad osservare il vigneto Valtellina, è l’incredibile sforzo che è stato compiuto dall’uomo nel ritagliarsi uno spazio, spesso minuscolo, per poter coltivare la vite. I vigneti qui sono ricavati su piccoli terrazzi artificiali, fattore che ha implicato uno sforzo sovraumano per l’uomo. I vigneti, così coltivati, impediscono quasi ovunque qualsiasi tipo di meccanizzazione della coltura della vite, implicando costi molto elevati di produzione. Basta tenere conto del fatto che una vendemmia manuale occupa l’uomo per un tempo superiore di oltre 20 volte rispetto a una vendemmia meccanizzata. Il costo della manodopera risulta così molto elevato e di conseguenza incide sul costo finale del vino prodotto.

La Valtellina, come tutte le zone colpite dalla fillossera, ha subito un drastico calo produttivo. Lo stesso Sforzato ha passato un periodo di oblio, per riapparire solo negli anni Venti del Novecento grazie a Nino Negri che lo “riscoprirà” nella versione secca.

Il vitigno principale è la chiavennasca o nebbiolo, ma non è l’unico presente. Gli altri vitigni coltivati, sebbene con caratteristiche nettamente inferiori, sono la rossola nera, la brugnola e la pignola valtellinese, che comunque rientrano in piccolissime percentuali.

Prima del dopoguerra, la Valtellina, tra alti e bassi, era famosa per il suo vino vinificato normalmente. Negli ultimi quarant’anni, però, la versione Sforzato, grazie a una operazione di marketing, è riuscita a guadagnare terreno fino a divenire il punto di riferimento di questa denominazione. (Continua…)

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