LA RESISTENZA, UNA STORIA SOPRATTUTTO AL FEMMINILE

Una Resistenza “lungamente taciuta” quella delle donne,  a lungo sepolta  nel silenzio delle Istituzioni, ma anche  nel  silenzio delle donne stesse, quasi un tentativo di rimozione  iniziato l’indomani della liberazione. Quando Il 1° maggio 1945 in tutte le città del Nord Italia liberato dal nazi-fascismo si festeggiarono contemporaneamente la Festa del Lavoro e quella della Liberazione, le donne non sfilarono insieme ai partigiani. Messe ai margini dalle forze politiche tradizionali, si sentirono come  tradite dagli stessi compagni di lotta, e questo fu più doloroso. In fondo anche per molti uomini di sinistra le partigiane combattenti avevano trasgredito la naturale vocazione domestica. “C’è, nei confronti delle donne che hanno partecipato alla Resistenza, un misto di curiosità e di sospetto… E’ comprensibile … che una donna abbia offerto assistenza a un prigioniero, a un disperso,se costui è un fidanzato, un padre o un fratello… L’ammirazione e la comprensione diminuiscono, quando l’attività della donna sia stata determinata da un a scelta individuale. Per ogni passaggio trasgressivo, la solidarietà diminuisce, fino a giungere all’aperto sospetto e al dileggio.” Così scrive Miriam Mafai nel suo libro di memorie “Pane nero”.

Una resistenza “taciuta” dunque, perché, si sa,  la guerra è  cosa da uomini;  la storia “politica” ha sempre privilegiato gli uomini, così come ha fatto  la  storiografia  che fino agli anni ’70 ha continuato a considerare e a valutare l’operato femminile  come corollario delle azioni maschili.

Ma “Senza le donne non ci sarebbe stata la Resistenza”, dice Arrigo Boldrini, medaglia d’oro della Resistenza. Le donne partigiane combattenti che hanno lottato contro il nazifascismo furono 35 mila. Donne di ogni estrazione sociale che organizzavano la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale e si attivavano  per la divulgazione dei volantini di propaganda; che percorrevano, consapevoli,  le vallate in bicicletta per portare dentro una  comune borsa da spesa, sotto pomodori e peperoni, viveri, medicine o importanti messaggi cifrati dei partigiani nelle pericolosissime missioni di collegamento. Tutti ricordiamo la storia di Renata Viganò in L’Agnese va a morire.

 L’esperienza resistenziale accomunò donne di varia matrice politica, militanti del Pci, del Psi, del Pri e della sinistra cristiana, e donne cattoliche come  Tina Anselmi, divenuta poi il primo  ministro donna  della Repubblica Italiana, la quale  decise da che parte schierarsi quando, giovanissima, vide un gruppo di giovani partigiani fucilati dai fascisti: divenne staffetta della brigata autonoma Cesare Battisti.

Una Resistenza sofferta e taciuta: sono state ancora le donne a pagare l’odioso prezzo della liberazione.  Una coltre di silenzio coprirà la violenza subita da  centinaia  di donne della Ciociaria  concesse ai marocchini al seguito dell’esercito francese come bottino di guerra o, meglio, come premio per la presa di MonteCassino, nel doloroso capitolo dello sfondamento della linea Gustav: sono le Marocchinate rappresentati nel film di Vittorio De Sica “ La ciociara”, con Sofia Loren, che qualcuno osò giustificare come “effetti collaterali della guerra” in realtà un  crimine contro l’umanità.
Dopo la guerra fu riconosciuto alle vittime un indennizzo che andava dalle 30 alle 150 mila lire a donna stuprata, tali somme vennero detratte dai danni di guerra dovuti dall’Italia alla Francia; dal canto suo il governo italiano pagò alle vittime una pensione minima e solo dopo  tempo. Molte donne non riusciranno a sopravvivere.

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