LA RELATIVA IMPORTANZA DEL VITIGNO

 

Quando si acquista una bottiglia di vino, per lo più ci si fa indirizzare dal vitigno con cui è prodotto, oltre dal produttore e chiaramente dal prezzo. Soprattutto quando si decide di acquistare un vino da uve cosiddette internazionali, come il merlot e i vari cabernet, tanto per fare dei nomi. Con questi ultimi vitigni e più spiccata questa tendenza, perché oramai siamo abituati a trovarli coltivati in tutta la Penisola.

Con i vitigni nostrani il discorso cambia. Scegliendo una bottiglia di nero d’Avola si dà per scontato che sia prodotto in Sicilia, così come un negro amaro in Puglia, un montepulciano d’Abruzzo in Abruzzo e così via con altri vitigni. Ora sebbene il nero d’Avola è coltivato anche in altre regioni, come la Calabria, è più che comune imbattersi in un nero d’Avola siciliano, piuttosto che calabrese. Di norma, però, non è l’indicazione territoriale che guida il consumatore nella scelta del vino, bensì il vitigno, proprio perché per esperienza il consumatore sa cosa aspettarsi da un nero d’Avola o da un montepulciano d’Abruzzo e così altri vitigni.

Anche in altri paesi, si dà molta importanza al vitigno con cui è prodotto un vino. Basti pensare all’enologia teutonica dove il nome del vitigno è in risalto in etichetta anche nella corrispettive DOC. Altri paesi, invece, come la Francia, raramente indicano il vitigno, prediligendo il nome del territorio, e quando indicano il vitigno si tratta per lo più di vini non particolarmente pregiati, oppure di vini alsaziani dove la cultura teutonica è fortemente radicata.

L’Italia su questa questione si muove su un doppio binario. Da una parte le DOC e le DOCG di solito prediligono il territorio, tanto per fare un esempio, Barolo è il nome del comune, mentre il vitigno è il nebbiolo, che non appare in etichetta. Non sempre è così però. La DOCG umbra Montefalco Sagrantino indica sia il territorio, Montefalco, sia il vitigno con cui è prodotto, sagrantino. Anche la DOC Alto Adige dà grande importanza al vitigno, ma questo perché come la Alsazia in Francia, il Sud Tirolo ha cultura germanica. Per le IGT, invece, il nome del vitigno assume di norma il ruolo da protagonista.

Fin qui l’Italia si muove sullo stesso percorso della Francia, ma differiscono su un fattore fondamentale. Mentre in Francia la scala qualitativa delle denominazioni è una garanzia di qualità, in Italia non è così. Anzi molto spesso, la Sicilia ne è un esempio lampante, un vino IGT è qualitativamente superiore a un vino DOC o DOCG. Capita così di imbattersi in un catarratto IGT Sicilia decisamente più aggraziato di un vino bianco delle varie DOC Siciliane, ovviamente non è sempre così.

Le regioni del centro-sud hanno avuto una enorme importanza nello spingere il consumatore a una particolare attenzione per il vitigno da cui è prodotto un vino. Questo perché, mentre al nord le DOC e le DOCG sono molte, ma soprattutto sono diffuse, al sud invece le DOCG sono poche, ma soprattutto le DOC, che sono comunque tante, non riescono ad affacciarsi sul mercato, restando così piccole produzioni relegate nel proprio territorio. Andando in una enoteca di vini siciliani ci si trova di fronte a una miriade di vini IGT Sicilia, ma a poche DOC siciliane. Questo perché, per quanto riguarda la Sicilia, solo le DOC Etna, Passito di Pantelleria, Marsala e in parte Alcamo, Malvasia delle Lipari, Faro e la DOCG Cerasuolo di Vittoria sono riuscite a ritagliarsi uno spazio importante nel mercato. Per il resto la produzione è etichettata come IGT, anche perché è molto più semplice per un produttore siciliano vendere, soprattutto all’estero, dove per esempio in Germania esiste tra rivenditori di vino una sezione dedicata solo ai vini siciliani, cosa che non accade per altre regioni dell’Italia del sud, un vino come Sicilia IGT, che con l’appellativo di una qualsiasi DOC siciliana. Subentra però un fattore territoriale non indifferente. All’estero si compra un vino siciliano perché viene dalla Sicilia e  non per il vitigno, poiché i vitigni italiani restano per lo più sconosciuti agli stranieri, tranne rare eccezioni come il sangiovese e decisamente meno il nebbiolo.

A questo punto ci si chiede quanto conta il vitigno nella scelta di un vino. La risposta è tanto, ma altrettanto è importante l’indicazione geografica il più ristretta possibile, perché una cosa è un vitigno piantato nella zona agricola di Pachino e un’altra cosa sarà lo stesso vitigno piantato nel territorio di Enna.

I vitigni sono profondamente diversi tra loro e ognuno di essi predilige condizioni climatiche diverse e tessitura del terreno diversa. È importante conoscere il vitigno, ma anche il territorio dove è impiantato in modo da capire se quel vitigno determinato vitigno è stato impiantato in una zona dove ha tutte le possibilità per esprimersi al meglio o se invece è stato piantato in una zona poco adatta e quindi incapace di giungere a maturazione ottimale per dare un prodotto di buona fattura. Le DOCG e le DOC dovrebbero, in teoria, garantire proprio questo binomio: territorio con vitigno o vitigni adatti. In Francia per lo più funziona così, le AOC permettono di impiantare solo determinati vitigni in un determinato territorio, proprio perché con l’esperienza si è capito che solo determinati vitigni potevano dare risultati apprezzabili in determinate zone. Per quanto riguarda l’Italia, ci si trova in bilico, da una parte certe DOCG e DOC seguono il modello francese, dall’altra certe DOCG e DOC sono dettate dai produttori che seguono quello che il mercato richiede.

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