La “prova costume” è la cosa più stupida che sia stata mai inventata

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Ritorno volentieri all’esordio della stagione estiva su un tema che mi sta molto a cuore. Come scrivevo in passato, test psicologici rivelano che chi vi chiede sui social “Sei pronto per la prova-costume?” ha una certa propensione a farsi simpaticamente i mazzi degli altri.

Ebbene sì. È appena iniziato il tormentone che ci ricorda quanto siamo impreparati alla sfida della spiaggia. È incredibile come consentiamo un tale martellamento mediatico, senza querelare nessuno. Eppure, ad esempio, a chi di noi passerebbe per l’anticamera del cervello di ammonire due signore di mezza età in ascensore? “Contro la cellulite, non fatevi sorprendere! Esiste un rimedio per ogni escrescenza adiposa!” È chiaro che entrambe le signore si produrrebbero in una zumba forsennata sulle nostre rotule per sei piani di ascensore almeno. E avrebbero ragione. Noi no, invece! Subiamo. Subiamo. 

Dice che, se ti iscrivi in palestra, perdi tre chili. Se poi ci vai anche, puoi arrivare a perderne sino a cinque, tra maggio e giugno. Sì, perché maggio e giugno, che nel calendario cinese sono i mesi del Serpente Bianco, a Ragusa (e in Italia) sono ufficialmente i mesi del Pilates. Ma, crudeltà vuole che proprio tra maggio e giugno da noi inizi anche la stagione dei gelati. “Prova la coppetta small al mirtillo rosa o al kiwi. È light! Ne godi e ti mantieni in forma, ciccia e brufoli!”

“Ma provalo te il mirtillo rosa, imbecille! Il conazzo, se non è nocciola, che gelato è?”

In verità non è affatto semplice scegliere tra una vita sempre in linea e una scialba esistenza alla mela verde. Dice che, per smaltire un cono nocciola e cioccolato, bisogna farsi 25 km di corsa, sette ore di sesso tantrico e due Ave Maria. Il solo pensiero mi sgomenta: io non prego dalla Prima Comunione. 

Non so voi. Io non ce la esco. Preferisco l’ascensore. Oramai per entrare in spiaggia devi esibire una sorta di GreenPass (non in formato digitale, bensì fisico): e, dopo averti pesato, non ti fanno entrare, anzi, non ti fai entrare, se non sei abbronzato già dal lunedì di Pasquetta, tatuato come un iguana, liscio e depilato come il marmo di Santa Maria in Fiore, rettilineo, muscolato e tartarugato, profumato e asciutto come un arbre magique di un autunno norvegese (devi essere un fiordo insomma, nonostante i 40 gradi all’ombra). 

E se sei una mozzarellina con una rotondità appena boteriana, devi essere triste e non devi sorridere alla luce del Sole. E se osi sfilare verso la riva, ti mettono i voti coi cartelli, come a X Factor versione Dante Alighieri.

Come abbiamo fatto a ridurci così? Possibile che il vero dramma di una pandemia non ci abbia insegnato nulla sulla libertà dell’esserci?

Possibile che i modelli delle cantanti e attrici e influencer debbano imporre a tutti noi l’impossibilità di una bellezza plastificata e di una innaturale mistica del botulino?

Il mio sarcasmo irrompe da una considerazione invero drammatica e professionale: nella “sindrome della prova costume” io vedo una sottile, perfida e pervasiva violenza psicologica nei confronti di tutti noi, ma delle adolescenti in particolare, le ragazze che abitano l’era di Tik Tok e Instagram. In una stagione che ha visto crescere i disordini alimentari…

E vorrei che in una ribellione universale dello Spirito, esplodesse la felicità del chissenefrega tra le onde meravigliose della nostra vita. La nostra vita.

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