LA MIA TERRAMATTA, IL NOVECENTO RACCONTATO DA UN CONTADINO

Arriva anche a Ragusa una delle più belle sorprese  dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Lunghi e spontanei applausi al cinema Lumiere per la proiezione del film documentario “Terra matta, il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano”. Un documentario di creazione di Costanza Quatriglio, liberamente ispirato al libro di Vincenzo Rabito “Terra matta”. Prodotto dalla ragusana Chiara Ottaviano. Nel cast Roberto Nobile, con la partecipazione degli abitanti di Chiaramonte Gulfi e dei figli e delle nipoti del protagonista.

Vincenzo Rabito, racconta il documentario, era un ragazzo del ’99, nato in Sicilia e mandato in guerra a consumare la “disonesta vita” del soldato. Orfano di padre e lontano dalla sua terra, Vincenzo viveva intensamente e sognava di tornare un giorno a Chiaramonte Gulfi a raccontare le sue storie, quelle raccolte in un diario dattiloscritto lungo 1027 “pagene”. Perché Vincenzo aveva urgenza di dirsi e di dire quel Paese che due guerre avevano fiaccato e che adesso bisognava ricostruire. E lui alla ricostruzione della sua nazione ha contribuito letteralmente, asfaltando le strade provinciali della Sicilia, e idealmente, redigendo un’autobiografia con un linguaggio lirico e straordinariamente familiare, dove il siciliano eccede l’italiano. Conseguita la licenza elementare alla soglia dei trentacinque anni, Vincenzo non si è mai arreso all’ignoranza, cercando un’istruzione e trovando un linguaggio per affermare il suo mondo interiore in relazione dialettica col mondo e con le prove che la vita lo chiamava ad affrontare.
Contadino, soldato, carpentiere e finalmente scrittore, Vincenzo Rabito è morto letterato nel 1981 e le sue memorie, diventate un sorprendente caso letterario, sono state premiate nel 2000 nel concorso diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano e poi pubblicate da Einaudi. Sette quaderni battuti a macchina e tenuti insieme da uno spago, milioni di parole interrotte da un punto fermo e una virgola breve, milioni di periodi composti a (ri)creare una terra bella e brutale, battuta dalle guerre mondiali, ridotta a una ‘fame endemica’, sedotta dall’avventura coloniale, piegata dal fascismo, affrancata dalla Repubblica, soccorsa dal miracolo economico, separata dall’emigrazione, agitata dalle contestazioni, intorpidita da un passato che non passa.

Fonicamente musicale e interpretato dalla voce di Roberto Nobile, l’italiano deformato di Vincenzo compone un canto epico che la regista Costanza Quatriglio porta sullo schermo integrando la parola scritta con immagini di repertorio. Lo sguardo della Quatriglio ‘sfoglia’ e segue la tenace (r)esistenza di un uomo che, attraverso la volontà e l’applicazione, riuscì a dare alla propria vita incolta e infelice un senso profondo di speranza. La sua è la storia di un’irriducibile individualità ma, allo stesso tempo, è la storia di tanti “ultimi” che raramente hanno preso la parola. Rabito scrive della sua sfortuna e disgraziata vita, ma sicuramente non è un vinto: non ha niente a che fare con i personaggi dei Malavoglia, schiacciati dal loro destino. Nel docu-film si raccontano la tragedia, la fatica, la fame, le malattie ma anche un’ insopprimibile vitalità motivata dal piacere di vivere. Ha pensato e agito come tanti altri italiani, che però, normalmente, non lasciano traccia di sé.
Non ha alcun preciso riferimento rispetto a un astratto “dover essere” ma per questo non si può in alcun modo definirlo un amorale. Sfamare la famiglia, e cioè esaudire un bisogno indiscutibilmente prioritario, è stato l’imperativo morale interiorizzato da bambino. Sapersi “arrangiare”, pratica appresa da soldato, diventa una preziosa competenza per non soccombere. L’istruzione è assunta come il valore più alto: è “la scuola”, non dunque una generica “fortuna” o il denaro accumulato, l’unica certezza su cui Rabito ritiene possibile fondare l’aspirazione alla mobilità sociale dei figli e della famiglia nel suo complesso. Fare di tutto perché i figli vadano scuola e possibilmente arrivino fino all’università è  il  “progetto morale”, condiviso da tanta parte delle famiglie italiane del dopoguerra (con particolare enfasi in quelle meridionali), che orienta tutte le sue scelte. La laurea in ingegneria del figlio maggiore è il goal della sua vita.

 

Alla fine della proiezione applausi a scena aperta dei presenti. Gli organizzatori fanno sapere che il film riceverà l’ambito premio Efebo d’argento. Il premio sara’ consegnato sabato 10 novembre nel corso della cerimonia dell’Efebo d’oro, il festival di cinema e narrativa giunto alla 34esima edizione, nella Sala Gianbecchina dell’ex Collegio delle Filippine ad Agrigento. Inoltre, visto il successo di pubblico ricevuto in questi giorni, i responsabili continueranno le proiezioni anche la settimana prossima.

 

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