LA DIFFICILE SFIDA CON IL PINOT NOIR

Da non molti anni si è diffusa in tutto il mondo vitivinicolo una nuova moda: la vinificazione in rosso del Pinot noir, conosciuto in Italia come Pinot nero.

Questo vitigno ha due zone di elezione in Francia, dove viene destinato a due vini distinti. Da una parte vinificato in bianco o in rosato entra nella AOC dello Champagne; dall’altra vinificato in rosso entra nelle varie AOC della Borgogna. La coltivazione del Pinot noir è diffusa anche in altre zone della Francia, ma è da queste due zone che questo vitigno è riuscito a farsi conoscere nel mondo, al punto da essere considerate da molti appassionati le due migliori zone vitivinicole del mondo.

Dapprima il viaggio del Pinto noir è iniziato con l’intento da parte di molti produttori d’imitare lo Champagne. La coltivazione dei primi Pinot nero era, quindi, destinata alla vinificazione in bianco, dalla quale ottenere dei vini spumanti.

La vinificazione in rosso, già presente in Italia nell’Oltrepò Pavese, troverà solo negli ultimi anni una crescente espansione. Questo fenomeno non ha coinvolto solo l’Italia, bensì tutti i paesi vitivinicoli del mondo, primo fra tutti gli Stati Uniti, responsabili, non a caso, anche della diffusione nel mondo dell’altro vitigno importante per lo Champagne e la Borgogna: lo Chardonnay. Mentre lo Champagne ha ispirato direttamente i nostri produttori di vini spumanti, che hanno acquistato barbatelle di Chardonnay e Pinot nero, per quanto riguarda i vini borgognoni, ossia la vinificazione in rosso del Pinot noir e la vinificazione in barrique della Chardonnay, l’ispirazione in Italia e negli altri paesi vitivinicoli ci è giunta per riflesso dagli Stati Uniti.

Negli USA si cercò di produrre dei vini fermi come quelli prodotti nella regione della Borgogna. Il successo ottenuto da questi vini americani d’ispirazione borgognona, ne favorì  presto la diffusione nel resto dei paesi produttori di vino, a cominciare dallo Chardonnay e arrivando più tardi a coinvolgere anche il Pinot nero.

Il fatto che il Pinot noir vinificato in rosso giungesse in un secondo momento non è propriamente casuale. Tentativi di vinificazione in rosso già vi erano stati in vari paesi. Il vitigno in questione però è poco flessibile e poco si adegua a climi distinti da quelli d’origine. Questo “carattere” difficile del Pinot nero è tutt’oggi presente, ma si è trovato il modo di addomesticarlo. Come per lo Chardonnay in America e poi nel resto del mondo, si è pensato di usare per l’affinamento barriques fortemente tostate, in modo da incidere nei profumi de vino.

Ora questa operazione riuscita per lo Chardonnay, non si può dire che sia propriamente riuscita per il Pinot nero. Il difficile adeguamento di questo vitigno ha fatto sì che versioni veramente interessanti al di fuori della Borgogna si possano contare sulle dita di due mani. Il mercato, però, funziona in un modo semplice, ma incomprensibile, e così oggi il Pinot nero si sta diffondendo a macchia d’olio in tutte le regioni italiane.

La Sicilia non fa eccezione. Complice pure il dubbio insinuato da molti esperti, anche francesi, che il nerello mascalese coltivato nell’Etna sarebbe imparentato direttamente con il Pinot nero. Anzi, alcuni sostengono che sia lo stesso vitigno mutatosi nel corso degli anni. Il motivo di questo raffronto tra i due vitigni è dovuto alle evidenti somiglianze che intercorrono tra loro e di cui la capacità di interpretare il territorio è la più importante.

In Sicilia la coltivazione del Pinot noir si è diffusa in tutta l’isola, ma effettivamente sembrerebbe che l’unico posto dove potrebbe trovare una seconda casa sarebbe l’Etna, nonostante il clima decisamente troppo caldo per il Pinto noir.

I tentativi finora fatti in materia sono meno incoraggianti di quello che ci si aspettava e sicuramente meno interessanti di quanto si dica. In difesa di chi sta portando avanti questa sperimentazione c’è da dire che ancora è troppo presto per bollarla come un fallimento e che solo il tempo potrà dirlo. Nel frattempo, però, sarebbe bene non trascurare i vitigni autoctoni dell’Etna, perché ancora oggi non si sono espressi del tutto, soprattutto il carricante.

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