LA CULTURA CONTADINA DELL’ALTOPIANO IBLEO

Per conoscere le nostre radici occorre rivolgere la nostra attenzione alla cultura contadina dell’altopiano ibleo, ancora viva sino agli anni cinquanta del secolo scorso, anni in cui ancora il 40% della popolazione del nostro territorio era occupato nel settore agricolo.

I ruoli maschile e femminile sono piuttosto rigidi  nella piccola azienda agricola a conduzione familiare definita “allevatrice-cerealicola” perché finalizzata alla produzione di grano e fave e all’allevamento dei bovini, utili non solo per la produzione di latte e carne ma anche di concime (ai tempi in cui i rifiuti non solo non erano dannosi ma erano utili!)

La famiglia al completo risiede per tutto l’arco della settimana lavorativa nel fondo di proprietà o preso in affitto perché l’allevamento anche di un modesto numero di capi di bestiame non consente la condizione di pendolarità tra campagna e area urbana largamente diffusa ,invece, in zone limitrofe alla nostra e in tutta la Sicilia.

Il piccolo allevatore non ha ferie ed è soggetto ad orari di lavoro piuttosto pesanti . Anche se di modeste condizioni economiche, ha in paese la casa di sua proprietà destinata prevalentemente ad usi di “rappresentanza”: nascite, fidanzamenti, matrimoni, funerali.

Al  padre di famiglia spetta la coltivazione dei camp, la cura dei capi di bestiame, la produzione artigianale di ricotta e formaggi o di insaccati di maiale in ben precisi periodi dell’anno, l’amministrazione dell’azienda, la compra-vendita di capi di bestiame, terreni o fabbricati, l’assunzione di personale per i periodi di lavoro più intenso.

La donna ha la piena responsabilità della conduzione della casa, sia in campagna che in paese, dell’allevamento degli animali da cortile e della gestione del reddito da essi proveniente, la confezione del corredo delle figlie iniziata sin dalla più tenera età, come attesta il detto “ A figghia ‘nta fascia, a robba ‘nta cascia”.

Abituata sin dall’infanzia ad una rigorosa economia , deve amministrare  con oculatezza la parte del reddito dell’azienda destinato al fabbisogno della famiglia. E’ in grado di produrre beni di consumo corrente. Sin da bambina impara a filare, a tessere, a tagliare, cucire e ricamare , è abile nell’arte culinaria e nel preparare i dolci che la tradizione vuole sulla mensa nei giorni di festa. 

La cucina del nostro mondo contadino è parca nei giorni feriali ma nelle ricorrenze esige abbondanza e varietà. Attorno alla mensa siedono in queste occasioni numerose persone appartenenti allo stesso clan familiare e le donne , impegnate da più giorni nel preparare , si confrontano sul piano gastronomico.

Alle donne è affidata la gestione delle pubbliche relazioni anche per quanto riguarda i rapporti con i parenti del marito.

Le capacità amministrative di queste donne,molte delle quali non hanno avuto accesso nemmeno all’istruzione elementare, sono notevoli. Mia madre mi ha parlato più volte con ammirazione della moglie di un allevatore che è riuscita a fare il corredo e la dote a ben sette figlie e ad accasarle tutte.

 Va sottolineato  che i matrimoni non nascono da un innamoramento ma sono il risultato di un’abile e diplomatica negoziazione delle madri dei contraenti.

E’ importante sottolineare che il costume vuole che il matrimonio avvenga tra giovani appartenenti alla stessa classe sociale.

Gli artigiani non sono ben visti dai massari che qualificano gli appartenenti a questa categoria con l’epiteto “Robba i’ mastranza!” Perché, si sa, il lavoro dell’artigiano dipende dal buon andamento dell’annata e, quindi, è sempre il reddito agrario che sta a fondament dell’economia del nostro territorio.

Da questo mondo sono venute fuori le protagoniste della nostra imprenditoria femminile, prima che questa formula diventasse di attualità: commercianti, imprenditrici nel settore dell’artigianato, dell’agricoltura e dell’industria e oggi del turismo, e, mi si consenta l’accostamento, una personalità come quella di Madre Caterina Di Pasquale che ha trasformato la piccola comunità fondata dalla Beata  Maria Schininà in un ordine religioso  presente in quattro continenti

Alle donne è anche totalmente affidata la cura e l’educazione dei figli ai quali il padre è duramente impegnato ad assicurare il pane quotidiano e un avvenire.

In proposito è interessante notare che un’intera generazione di piccoli allevatori ha investito una notevole parte del suo reddito per assicurare ai figli  una condizione socio-economica diversa e nettamente migliore della propria, attraverso il conseguimento di un titolo di studio,(spesso a livello universitario) in un’epoca in cui la scuola e l’università erano agenti di mobilità sociale.  Contemporaneamente assistiamo, per svariati motivi, ad un drastico ridimensionamento dei redditi dell’aristocrazia terriera, i cui componenti,non potendo più vivere di rendita, debbono a loro volta cercare nel conseguimento di un titolo di studio una sicurezza per il loro avvenire e si ritroveranno, fianco a fianco nelle banche , nelle professioni, nel pubblico impiego con i figli di coloro che,nelle generazioni precedenti,  erano i fittavoli delle loro famiglie.

Nella nostra famiglia tradizionale ai figli si inculca un duro senso del dovere e alcuni principi indiscutibili. Anzitutto il rispetto dei genitori , degli  anziani, delle persone adulte in genere. La madre trasmette ai figli riconoscenza e rispetto per il padre,non lo contraddice mai in loro presenza.  A sua volta il padre inculca nei figli un rispetto incondizionato per la madre, che in molti casi, specie da parte dei figli maschi, si tramuta in vera e propria idealizzazione e venerazione. Da questo scaturisce la considerazione di cui le vedove godono e la sicurezza economica che gli usi garantiscono, prima che lo facciano le leggi dello stato.

Dalle donne si esige il rispetto di una morale sessuale molto rigida, che viene trasmessa e fatta rispettare in perfetto accordo dalle agenzie educative più potenti, all’epoca la Famiglia e la Chiesa . La donna onesta deve comportarsi come una creatura asessuata. Non deve ,da ragazza manifestare interesse per il matrimonio (a maritarla ci pensa la mamma), non deve pronunciare nemmeno innocentemente la parola amore.

Rimasta vedova, anche molto giovane, susciterà commenti poco benevoli, se si risposerà, perché “deve sacrificarsi per i figli”.

Di grande considerazione godono le nubili, che, morti i genitori, vengono accolte nei nuclei familiari di un fratello o di una sorella e collaborano attivamente alla conduzione della casa e alla cura dei bambini.

 Non è raro il caso di genitori che decidono di non far maritare almeno una delle una figlie per avere la sicurezza di essere accuditi nella vecchiaia.

Il clero,anch’esso composto in gran parte da figli di agricoltori , incoraggia la scelta della consacrazione privata che consente di mettere d’accordo vocazione religiosa ed esigenze familiari.

Infine va sottolineata la profonda religiosità di questa gente che non accettò le leggi eversive dei beni ecclesiastici e la chiusura dei monasteri imposte dai conquistatori piemontesi e si strinse attorno a coloro che, come Maria Schininà, Marianna Vitale, Madre Maria Candida Dell’Eucarestia, Padre Giorgio La Perla, si adoperarono per restituire alla città le sue stituzioni religiose o per crearne di nuove e adeguate ai tempi.

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it