INTERVISTA A CRISTINA VITALE

Inutile specificare che si tratta di una persona che conosco più che bene e, anche se scrivere consente di riflettere prima di mettere le parole nero su bianco, non voglio immergermi in una irrealtà da finzione, in una intervista impersonale e in emotiva. Sarebbe complicato, oltre che fazioso.

Vi racconto la mia amica, con l’intento di proseguire la rubrica di celebrazione delle personalità nostrane che colorano i miei incontri.

Cristina Vitale è una ragusana doc, “figlia” di una delle istituzioni gastronomiche della nostra città, La Grotta, gestita da entrambi i suoi genitori, Angela e Giovanni.

Classe 1984, è una donna complicata, tormentata, insofferente come tutti quei soggetti tarchiati da una sensibilità eccessiva e da un voler essere oltre ciò che l’umana forma consente. Vorrebbe poter fare duemila cose contemporaneamente e si intestardisce ancor più se le si ricorda di non essere un automa.

Laureata in Relazioni Internazionali all’Orientale di Napoli si è, poi, spostata a Padova per specializzarsi e avviare una fruttosa collaborazione con la Onlus Karibu Afrika, per la quale opera in qualità dicoordinatore unico da oltre un anno. Appassionata di fornelli, è capace di organizzare, preparare e intrattenere un buffet per oltre 50 persone, preparando manicaretti leccorniosi e particolarissimi,  come i tanti eventi di Karibu, e non solo, hanno dimostrato.

Chi è Cristina?

Probabilmente sto cercando di conoscerla anch’io. Una donna ventinovenne, fiera della sua sicilianità, difficilmente nascondibile al freddo nord. Determinata, solare, puntigliosa, buia, perfezionista, amicale, lunatica, semplice e difficile. Credo che possa risultare più semplice descrivermi mettendo a fianco tutti gli aggettivi e l’esatto contrario degli stessi. Continuamente e costantemente contraddittoria nella vita personale, mi piace definirmi un cater pillar, un dittatore, a lavoro.  Cristina non è niente di tanto distante da una qualsiasi donna della mia età che cerca, almeno, di definire chi e come vuole essere nella sua vita.

 Se ti chiedessi com’è nato il tuo amore per l’Africa?

In realtà non saprei risponderti. Qualche ricordo sbiadito mi fa dire di avercelo sempre avuto, senza un motivo ben preciso…ho sempre voluto vedere l’Africa, lavorare per l’Africa, e l’unica cosa che mi tormentava era la paura di non essere fatta per, di non essere abbastanza forte per o semplicemente non in grado di lavorare sul campo, ma mi sono sempre risposta “vabbè, devo provare, almeno devo mettermi alla prova, se poi non sono capace vorrà dire che starò in qualche bell’ufficetto a lavorare per l’africa”. Oggi posso ringraziare me stessa per aver voluto provare e per essermi scoperta assolutamente gratificata da tanta vita.

Hai vissuto il mal d’Africa?

Assolutamente si.  Al rientro dalla mia prima esperienza, nel 2009. Potrei forse dirti cos’è per me il mal d’africa, ma non entrerò nei particolari,  è l’unica forma di gelosia che conosco quella per le emozioni e le sensazioni che ho provato. Mal d’Africa è la difficoltà che ho vissuto nel comprendere il viaggio che ho intrapreso con me stessa  – certamente stimolato dall’esperienza della baraccopoli  – è malinconia profonda per il modo di vivere la vita da questa parte del mondo, è l’assenza di profumi, odori, visi, musica, gioia, cielo, colori, che ti sei abituato a fare tuoi in giorni di permanenza non da semplice turista.

Come senti ti abbia cambiata?

Sicuramente credo di essere diventata molto più cinica di quanto non lo sia per natura e anche molto più relativista ma penso che i cambiamenti siano ancora in corso…non hanno ancora un nome ben preciso.

Come definiresti il tuo rapporto con Karibu? Cosa rappresenta?

Karibu è il mio percorso umano, formativo e professionale.

Da siciliana traslata a Genova e malinconica della socialità siciliana, come vive una siciliana in quel di Padova? Nella ostica terra veneta?

Bè, è stato un lungo lavoro con me stessa e con la famiglia che ho scelto di creare intorno a me…ma alla fine mi sento risultata vincitrice. Dopo 4 anni, una siciliana può vivere bene anche in terra padovana e adesso sono ben contenta di essere circondata da 3 famiglie che risalgono lo Stivale: le origini, la casa per eccellenza a Ragusa; la famiglia napoletana nata da 4 anni vissuti nel capoluogo campano; la famiglia veneta nel padovano! I veneti sono diffidenti, freddi, distanti…eppure se riesci a far breccia, pian piano, ti accolgono come se ci fossi sempre stata e con una socialità che – a volte – non ha nulla da invidiare alla nostra. Sono difficili, non alieni tutto sommato. Certo, io faccio parte di quella categoria di persone che “se gli dai il dito, si prende tutta la mano” quindi difficile sbarazzarsi di me se è scattata la scintilla! Persone a parte – e devo essere onesta, di Padovani doc non ne conosco neanche uno…gente moooolto difficile – Padova offre molto a livello culturale, musicale, artistico, mi spiace dirlo, ma certamente nulla a che vedere con la nostra provincia ragusana. Indubbio, la pianura è quella che è, e soprattutto d’inverno, la nebbia, il freddo e l’assenza di sole per giorni rimpiazzato dalle grosse nubi grigie non può che uccidere lo spirito del siciliano più solare che esista.

Hai vissuto episodi di razzismo anti terrone?

Purtroppo si. Una sola volta ma è successo. Il vicino di casa ha mal gradito il mio richiamo ad abbassare il volume del televisore alle 3 di notte di una torrida estate padovana: la sua risposta è stata a dir poco fuori dal normale. Mi invitava a lavarmi, a raccogliere la spazzatura e tornare nel mio paese perché qui quelli che puzzano come i terroni non li vuole nessuno!

Ultima domanda, cosa vuoi fare da grande?

(ride). Bhè, non lo so ancora, devo scoprire e continuare a scoprirmi. Quel che verrà, si vedrà. Spero, ovviamente, di continuare a fare quello per cui ho lavorato e studiato tanto e che amo, lavorare nella e per la cooperazione. Il resto è divenire ….

 

 

 

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