IL SOCIALISTA GIUSEPPE DE FELICE INTERPRETA LA MAFIA NEGLI ANNI DEL PROCESSO NOTARBARTOLO

Scritto da Giuseppe De Felice, uno tra i maggiori esponenti dei Fasci siciliani e sindaco di Catania nel primo ventennio del XX secolo, è in edicola Maffia e delinquenza in Sicilia per le «Edizioni di storia e studi sociali» è in libreria, a cura dello storico Rosario Mangiameli.

De Felice scrisse questo libro in occasione del processo che si celebrò a Milano, tra il 1899 e il 1900, per l’assassinio dell’ex direttore generale del Banco di Sicilia Emanuele Notarbartolo. Fu quello il primo «assassinio eccellente» compiuto dalla mafia, segno della sua pericolosità e capacità di muoversi al di fuori degli ambiti territoriali e sociali in cui la tradizione la confinava. Il processo pose così per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale la questione mafiosa. Con una serie di articoli pubblicati sul quotidiano socialista «Avanti!» e poi raccolti in questo libro De Felice contribuì non solo alla controinformazione, sventando tentativi di insabbiamento delle prove, ma alla stessa incriminazione dei presunti colpevoli: il deputato Raffaele Palizzolo e il campiere Giuseppe Fontana, protetti da una spessa cortina di solidarietà nella Palermo di quegli anni.

Nel saggio introduttivo Mangiameli annota: “Per quanto importante e incisiva nella storia della città, che attraversò con lui uno dei momenti di maggiore sviluppo, la sua attività, però, non è circoscrivibile alla sola amministrazione dell’ente locale, piuttosto De Felice fu tra coloro i quali meglio riuscirono a coniugare la dimensione locale dell’impegno politico amministrativo con quella sovralocale, regionale e nazionale”.

“L’argomento stesso – spiega Mangiameli –  apparirebbe estraneo agli orizzonti della vita politica e dell’osservazione sociale catanese, la città che sottolineava la sua diversità rispetto alla Sicilia occidentale in cui il noto fenomeno criminale era confinato”.

“De Felice –continua Mangiameli – aveva acquisito la consapevolezza che la mafia fosse un fenomeno residuale, frutto di una non risolta transizione dalla fase feudale alla modernità, convivenza di strutture sociali e di potere altrove tramontate a confronto con la modernità dello stato di diritto, capaci tuttavia di stravolgerne il ruolo regolatore e inceppare i meccanismi della giustizia”.

 

 

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