Il riuso per continuare la città. Alla San Bartolomeo l’incontro con l’architetto Laura Peretti

Proseguono gli eventi promossi dall’Ordine degli architetti della provincia di Ragusa e dalla Fondazione Arch, in occasione del 40esimo anniversario della costituzione dell’Ordine, seguendo il tema su “Il riuso per continuare la città”. Venerdì pomeriggio, nella chiesa di San Bartolomeo a Ragusa Ibla, l’architetto Laura Peretti ha tenuto una lecture avente per oggetto “Attraversare Corviale”.

E’ stato presentato il progetto di riuso che riguarda il quartiere popolare del Corviale a Roma. Corviale, periferia a sud-ovest di Roma, è un immenso complesso residenziale progettato negli anni ’70 da Mauro Fiorentino ed è noto come il serpentone. Un monolite ad alta densità abitativa, a metà tra Le Corbusier e un certo utopismo anni ’60, il cui corpo principale misura niente meno che 960 metri.

Doveva essere una “diga”, un argine allo sprawl urbano per proteggere l’agro romano e rispondere alla demografia di una società in pieno boom. Invece, come spesso accade in questi casi, è divenuto simbolo di degrado delle periferie e di ghettizzazione sociale. Ma il degrado dipende solo dall’architettura o ci sono colpe anche dell’amministrazione e della politica? “È sempre dovuto a fattori molteplici – spiega Peretti – la bella architettura di Fiorentino ha rigidità e barriere molto forti che non hanno aiutato gli abitanti ad instaurare con l’edificio un rapporto di appropriazione e identificazione. Certo non era stata prevista la ghettizzazione sociale, ma non bisogna dimenticare che con Corviale si è data una casa a chi viveva nelle baracche.

Ho conosciuto persone che prima di Corviale dormivano con altre sette persone in una stanza. Progetti come questo e lo Zen risolvevano grandi problemi. Certo, con il tempo queste strutture hanno mostrato le loro pecche, ma erano di un’entità straordinaria. Quello che manca oggi è l’aggiornamento di questi progetti sociali. E un tale deficit di progettualità, nel paese con più leggi urbanistiche in Europa – e forse nel mondo – significa che qualcosa non funziona”. Peretti non condanna l’architettura e l’urbanistica di quel periodo.

“No – aggiunge – nella maniera più assoluta. Sono stati commessi degli errori, si può sempre fare meglio, ma in quegli anni almeno c’era una politica dell’abitazione sociale, cosa che poi è mancata in Italia per 40 anni. Ora ci stiamo svegliando dal torpore e si riparla di periferie, ma troppo a lungo architettura e politica hanno lasciato il campo a costruttori e palazzinari”. I lavori sono stati moderati dall’architetto Alessandro Battaglia, consigliere della Fondazione Arch. La serata è proseguita con l’intervento di due collettivi di architetti, Alterazioni Video e Fosbury architecture, che hanno presentato due video sulle opere incompiute in Italia e il lavoro di analisi e possibile riuso di alcuni di questi progetti contenuti nella pubblicazione che dà il titolo all’intervento in questione.

L’obiettivo, indagando il fenomeno delle opere pubbliche incompiute in Italia attraverso una prospettiva estetica, è quello di rintracciare e ricostruire gli elementi di uno stile unitario: lo stile dell’Incompiuto, il più importante stile architettonico italiano dal secondo dopoguerra a oggi. “Abbiamo pubblicato questo volume – dice Veronica Caprino di Fosbury Architecture – che è un viaggio lungo la nostra Penisola, magari fatto al contrario, da Sud a Nord, mappando e monitorando le regioni d’Italia alla scoperta di questo che possiamo definire un fenomeno contemporaneo che racconta anche la storia d’Italia. Abbiamo mappato in tutto 696 opere incompiute e ci siamo concentrati in particolare su quelle siciliane durante la presentazione fatta a Ragusa”.

Andrea Masu, di Alterazioni Video, ha aggiunto: “Indaghiamo questo fenomeno con una particolare attenzione all’isola visto che lo stesso, negli ultimi 70 anni, cioè dal Dopoguerra a oggi, ha trasformato profondamente il paesaggio italiano, modificandolo. E ciò significa consumo del suolo, spreco di denaro pubblico, desideri frustrati, speranze tradite. Abbiamo raccontato questa storia che, secondo noi, rappresenta un vero e proprio stile, uno stile italiano, quello dell’Incompiuto, su cui abbiamo scritto un manifesto e proponiamo un’analisi in profondità per capire la storia recente del nostro Paese”.

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