IL NERO D’AVOLA DI QUALITÀ

Il nero d’Avola è un vitigno piuttosto produttivo, ma con certi sistemi di allevamento e con potature varie si può abbassare notevolmente la resa di questo vitigno. Una resa bassa per ettaro è un passo imprescindibile per chi voglia ottenere un prodotto di qualità.

Ma una resa bassa è insufficiente se non è accompagnata da altri fattori determinanti, primo fra tutti il terreno dove viene impiantato il vitigno. Un attento studio della morfologia, della composizione del terreno e dell’ambiente pedoclimatico è fondamentale per poter decidere quale vitigno si potrà esprimere al meglio.

Un errore molto diffuso in Italia è quello di imbattersi in vigneti eccezionali per esposizione e composizione del terreno, ma coltivati con vitigni inadatti a quel determinato terreno. È un concetto difficile da capire per certi versi. Questo perché non è sufficiente che un determinato vitigno attecchisca al terreno e dia frutto per potersi esprimere al massimo. L’arrivo di vitigni internazionali ha moltiplicato questo problema di terreni coltivati con vitigni inadatti. Un esempio lampante è la miriade di cabernet coltivati in Italia, in genere nei migliori appezzamenti. Nei vini che ne escono  è possibile, senza particolari sforzi, con un esame olfattivo, riconoscere, chi più chi meno, un sentore vegetale definito come foglia di pomodoro. Questo riconoscimento olfattivo molto diffuso nei cabernet sauvignon italiani e che in molti, tra produttori ed esperti del settore, cercano di fare passare come sentore tipico dei cabernet. In verità è sintomo della mancata maturazione di questa varietà di uva. Il sentore di foglia di pomodoro nel cabernet è tipico solo nei cabernet che non hanno maturato. Il fatto è che l’uva non ha una sola maturazione; quella degli zuccheri è soltanto una della varie. Quando un vitigno viene impiantato in un terroir non adatto, le sue varie maturazione non riescono a coincidere. Quindi succede che magari la maturazione degli zuccheri è completa, ma quella fenolica no.

Questa poca attenzione, dettata per lo più da logiche commerciali, si vende più facilmente a un prezzo esorbitante un merlot piuttosto di un gaglioppo, provoca vini difettosi. Ciò a scapito di uve meno commerciali, ma capaci d’interpretare un determinato territorio molto meglio di qualsiasi altro vitigno.

A onor del vero, questo non capita solo con i vitigni internazionali. In Sicilia, per esempio, col nerello mascalese non si ottengono risultati interessanti fuori da terreni vulcanici. Lo stesso discorso vale per l’aglianico e così altri vitigni. Si comprende così che il concetto di vitigni superiori è in genere relativo, semmai esistono vitigni versatili e altri assolutamente non versatili, e tutto dipende se a un determinato vitigno gli è stata data la possibilità o meno di esprimersi a dovere. Ovviamente tenendo conto anche delle rese e dei sistemi d’impianto, poiché un terreno può pure essere indicato per un certo vitigno, ma se le rese non vengono controllate, il risultato sarà sempre mediocre.

Il marchio “Nero d’Avola Sicilia di Qualità” nasce proprio con lo scopo di valorizzare il vitigno siciliano più famoso. E lo fa con un proprio disciplinare, che prevede, oltre a un limite nelle rese, a sistemi d’impianto eccetera, anche delle zone territoriali adatte. Fa questo, basandosi sul “Trattato di Viticoltura Italiana” di Bruno Pastena. Questa è sicuramente una buona iniziativa e si spera che col tempo si riesca finalmente a esprimere il nero d’Avola nelle sue potenzialità. Cosa che fino adesso in pochi hanno saputo fare.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it