IL BAROLO, IL VINO NATO QUASI ASSIEME ALL’ITALIA

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II viene proclamato re d’Italia nella città di Torino. Sette anni dopo, l’importanza del vino Barolo era già consolidata. La nascita del Barolo viene fatta risalire all’opera della marchesa Giulia di Barolo, ossia Juliette Victurine Colbert de Mont Lévrier, moglie di Tancredi dei marchesi Falletti di Barolo, con la fondamentale consulenza dell’enologo francese, il conte Louis Oudatr di Reims. Il conte di Reims, prima di collaborare con la marchesa di Barolo, era l’enologo niente di meno che del conte Camillo Benso di Cavour, quando questi era sindaco di Grinzane nel 1832. Pare che le strade tra i due si siano divise per una questione di compensi.

Louis Oudatr portò tutta l’esperienza sulla vinificazione francese nella cantina dei marchesi Falletti. È certo che se non ci fosse stato Louis Oudatr, o comunque la mano di un esperto enologo francese, il Barolo come lo conosciamo oggi sarebbe nato, nella migliore delle ipotesi, molti decenni dopo. Prima di allora, infatti, il nebbiolo veniva vinificato nella quasi totalità dolce. A Giulia Falletti va riconosciuta la promozione della conoscenza di questo vino, grazie ad un singolare omaggio al re Carlo Alberto, al quale la Falletti ne donò ben 325 carrà, ossia botti equivalenti ciascuna a circa 493 litri. La marchesa Falletto aveva calcolato che nella corte piemontese si dovesse consumare ogni giorno dell’anno un carrà di vino, salvo il periodo della Quaresima. Ecco perché 325 carrà e non 365.

Il dono fu particolarmente gradito dal monarca, al punto che questi decise di comprare una tenuta per produrre il proprio vino. Il Barolo si ricava esclusivamente da un nebbiolo. La presenza del vitigno di nebbiolo in Piemonte è documentata già nel 1303, nella zona Roero, precisamente a Canae, fuori quindi dalla zona delle Langhe, mentre è attestata la sua presenza nella zona della DOCG Barolo nel 1431 negli Statuti di La Morra, redatti dal pubblico notaio di Serralunga, Odoninum de Bacho. Questo lo rende un vitigno estremamente adatto a questo territorio e infatti, fuori da alcune zone del Piemonte, ed esclusivamente nella Valtellina in Lombardia, difficilmente dà buoni risultati.

Alcuni ritengono che il nebbiolo sia figlio del pinot nero. Il motivo di questa tesi si deve al fatto che il nebbiolo insieme al pinot nero sono vitigni in grado di dare una grandissima complessità olfattiva, che pochi altri vitigni posso raggiungere. Li lega, inoltre, la tonalità del colore mai troppo scura. I vino a base nebbiolo e pinot nero non sono mai impenetrabili, bensì sempre trasparenti. Ricavarne però una parentela dai due vitigni, per questi motivi appare azzardato. I due vitigni hanno una complessità olfattiva e organolettica comunque decisamente distinta per trattarsi dello stesso vitigno.

Il nome del nebbiolo deriva senza ombra di dubbio dal latino nebia, per questo motivo nei documenti più datati viene trovato scritto nebiolo. Le ipotesi più credibili sull’origine del nome sono due. La prima ritiene che l’origine del nome vada riscontrata alla maturazione tardiva di questo vitigno che porta spesso a vendemmiare con le nebbie autunnali provocate dal fiume Tanaro. La seconda ipotesi ritiene che il nome derivi dagli acini di questo vitigno particolarmente ricchi di pruina, quella specie di polverina bianca che ricopre la buccia dell’uva. Resta indubbiamente il fatto che il Barolo, il re dei vini e vino dei re, risente dell’influenza francese, proprio come l’unità dell’Italia.

 

 


 

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