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GIOVANNI BOCCACCIO
08 Ott 2012 06:15
Giovanni Boccaccio, figlio naturale di un agiato mercante, tal Boccaccino di Chelino, e da una donna di umili origini, nacque nel 1313 a Certaldo, luogo d’origine della famiglia paterna o a Firenze dove comunque trascorse l’infanzia e la fanciullezza con il padre che lo aveva legittimato. Divenne discepolo, prima di Giovanni da Strada, poi, già esperto in aritmetica (non ancora adolescente), da un abilissimo mercante, che lo istruì nell’arte della mercatura e del cambio. A 14 anni si trasferì a Napoli, dove anche qui proseguì svogliatamente gli studi mercantili e fu anche avviato dal padre allo studio del Diritto Canonico con lo scopo di prepararlo a una professione redditizia. Frequentò così lo Studio napoletano, dove insegnava diritto civile (tra il 1330 e il 1332), Cino da Pistoia. Poeta e amico di Dante e di Petrarca oltre che famoso giurista, egli influì probabilmente sulla formazione culturale e artistica, più che quella giuridica, del giovane Boccaccio, sollecitando e indirizzando, con la lettura o rilettura dei grandi poeti in volgare, la sua vocazione letteraria.
Grazie alle amicizie del padre e alle sue entrature anche a corte, Boccaccio potè vivere intra nobili giovani frequentando l’aristocrazia napoletana aperta a tradizioni e tendenze culturali. Fu però sostanzialmente un autodidatta Negli anni napoletani nasce anche il ‘mito’ di Fiammetta, cioè l’invenzione di una storia d’amore, prima ricambiato e poi tradito, che si viene evolvendo attraverso le sue opere giovanili, con qualche contraddizione e variante, ma seguendo uno schema letterario tradizionale.
Sopravenute difficoltà finanziarie al padre, Giovanni Boccaccio rientra a Firenze, ma rimpiangerà sempre la “magnifica” Napoli.
Ben presto si inserì nella vita culturale fiorentina entrando in contatto con le maggiori personalità, ma frequentò anche le corti romagnole dove era stato di recente l’Alighieri e ne raccolse testimonianze e ricordi. Poi tornò a Firenze durante la terribile peste del 1348 che distrusse due terzi della popolazione. Al drammatico avvenimento viene assegnato il ruolo fondamentale nella struttura del Decameron composto tra il 1349 e il 1351, il capolavoro che fa di Giovanni Boccaccio il più grande narratore italiano.
Durante la pestilenza perse la matrigna Bice e il padre.
Nel 1350 conobbe Francesco Petrarca, la cui amicizia ebbe profonda influenza letteraria e umanistica.
Ebbe molteplici impegni civili e diplomatici. Viaggiò molto e si ritirò spesso a Certaldo, nella casa avita, dove si spense in 21 dicembre 1375.
Fin dagli esordi, la produzione letteraria del Boccaccio si presenta eclettica improntata allo sperimentalismo simile per vastità a quello dantesco, rivolto sostanzialmente al volgare .
E’ fondamentale la sua ricerca di equilibrio tra due componenti contrastanti : l’impeto di una materia autobiografica, sentimentale, e d’altra parte l’elemento erudito, la volontà di applicare i mezzi tecnici e i modelli della tradizione letteraria classica e volgare. Riuscì a raggiungere l’equilibrio tra l’elemento erudito con il contenuto narrativo, culminate nella sua opera maggiore il Decameron. Il testo si compone di una narrazione-cornice che inquadra cento novelle , ripartite in dieci giornate (dedicate ognuna a un diverso argomento) e narrate a turno da dieci giovani, rifugiatesi nella campagna fiorentina per sfuggire agli orrori della peste. Le circostanze che hanno condotto l’allegra compagnia dei novellatori, la loro vita nel contado, l’organizzazione delle loro giornate in comune , sono il tema della novella-cornice. Ne risulta un testo con stili diversi, come sono diversi i novellatori, anche se l’autore è ovviamente unico e qui sta la capacità e la grandezza del Boccaccio. Inoltre è un testo molto divertente, come doveva essere per i giovani che narrano giorno per giorno i loro racconti. Cito solo qualche titolo che riassume il tema e già da quello si possono intuire le situazioni esilaranti della storia. Frate Cipolla VI, 10: frate Cipolla promette a certi contadini (gente del contado) di mostrar loro la penna dell’agnolo Gabriello (angelo Gabriele) ; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice di esser di quegli che arrostirono san Lorenzo. Oppure questa : Federigo degli Alberighi V, 9 Federigo degli Alberighi ama e non è amato, e in cortesia spendendo si consuma e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro, dà a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la qual ciò sappiendo, mutata d’animo, il prende per marito e fallo ricco. E ancora: La badessa e le brache IX, 2 Levasi una badessa in fretta e al buio per trovare una sua monaca, a lei accusata, col suo amante nel letto; e essendo con lei un prete, credendosi il salterio de’ veli aver posto in capo, le brache del prete vi si pose; le quali vedendo l’accusata, e fattalane accorgere , fu deliberata (prosciolta dall’accusa)e ebbe agio di starsi col suo amante. E questo dà l’idea delle novelle. I personaggi sono illustrati con acume psicologico e dimostra che la natura umana in realtà non è cambiata.
Boccaccio fu anche un eccelso descrittore. Un esempio molto interessante si trova ne
“Il giardino di Pomena” dalla Comedia delle ninfe fiorentine, XXVI, 13-40.
L’abbondanza e la varietà della folta vegetazione si traducono in una lunghissima nomenclatura , arricchita però dall’indicazione del luogo che ogni specie occupa nel giardino, dalle virtù delle singole erbe, da frequenti allusioni dotte e da accenni mitologici. Pomena è forma imprecisa di Pomona dea degli orti (ne parla Ovidio nelle Metamorfosi XIV, 609-697)
Quivi si vede la calda salvia con copioso cesto in pallida fronda, e evvi in più alto ramo con istrette foglie di ramerino utile a mille cose, e più innanzi vi si trova copiosa bettonica piena di molte virtù, e l’odorifera maiorana con picciole foglie tiene convenevoli spazii insieme alla menta; e in un canto si troverebbe molta della frigida ruta e l’alta senape, del naso nimica e utile a purgarsi la testa.
Mi ricorda un altro grande autore italiano: Alessandro Manzoni dove nel cap. XXXIII descrive l’orto incolto di Renzo.
Per concludere una curiosità. Fu Proprio Giovanni Boccaccio a citare per primo Divina la Comedia di Dante.
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