FRATELLINI: AMORE IN SE’ COME RISCATTO ALLA DIGNITA’ UMANA

L’Accademia teatrale Clarence del direttore artistico Franscesco Silvestri: dopo 16 anni e 270 repliche infatti, domenica 19 maggio è stata l’ultima volta che Silvestri ha vestito i panni di Gildo, protagonista del suo testo pluripremiato “Fratellini” e nelle due serate di messa in scena presso la sede della nostra accademia, un centinaio di persone ha applaudito a lungo un commosso Francesco Silvestri.

Si è definitivamente chiuso il sipario dietro le spalle di Gildo e di suo fratello, protagonisti lo scorso sabato 18 e domenica 19 maggio della spettacolo pluripremiato “Fratellini” messo in scena presso la sede dell’Accademia Teatrale Clarence creata dallo stesso Silvestri appena un anno fa a Modica. E anche questa volta il numeroso pubblico accorso ha potuto assistere ad «una sconvolgente e toccante interpretazione da parte di Francesco Silvestri e di Vincenzo Tumino, in una celebrazione dell’amore fraterno e dell’amore in sé, che assume quasi le forme di un rito sacro, la cui sacralità sta nel recupero stesso dell’umanità – ha chiosato al termine dello spettacolo Galota Laura, una corsista del corso di scrittura drammaturgica organizzato dall’Accademia Clarence in queste settimane.  «E’ così che, nella visita al fratello, interpretato da Tumino, nel triste perimetro di una stanza d’ospedale, Silvestri, per l’ultima volta nei panni di Gildo, affetto da ritardo mentale, diviene nuovo sacerdote ed eclissa la figura dell’altro reale celebrante che allo stesso tempo celebra messa fornendogli così inconsapevolmente il tempo e l’alibi di andare a trovare il suo fratellino. E’ Gildo, quindi, e non l’altro sacerdote, che ci scuote e nel contempo ci incanta nel curare l’anima di chi soffre perché abbandonato e dimenticato da tutti tranne che da lui. Un derelitto della società, quindi, che cura un intoccabile: il dolore che cura il dolore, perché forse solo chi soffre è in grado di amare al di là delle parole e soprattutto della paura di sporcarsi le mani, in gesti semplici, concreti, ma pieni di tenerezza. E’ Gildo che accudisce il fratello per riportarlo alla dignità di essere umano; è Gildo che gli racconta una favola, che “trasfigura” quasi le sue piaghe con la sua ingenua fantasia e che gli regala un aquilone per farlo volare in uno squarcio di infantile leggerezza, lontano dalla pesantezza della malattia; ma soprattutto è Gildo che beve dallo stesso bicchiere del fratello e poi ne bacia l’orlo lì dove entrambi hanno bevuto, come se fosse “l’altare” su si celebra la loro unione, come per “bere lo stesso calice”, come per un inconscio e inconsapevole bisogno di far vedere che  i veri infettati , i veri appestati sono gli altri, perché non sanno essere veri fratelli, perché non sanno farsi compagni dell’altro nella vita, perché hanno perso il senso dell’amare, dell’avere fede nell’uomo. Un tempo della cura, scandito dalle parole talvolta quasi senza senso dei racconti di Gildo, racconti da lui conservati e custoditi nella sua mente confusa per riempire i silenzi fuori da quella stanza d’ospedale: i silenzi voluti  per difendersi da una madre che ha rifiutato lui e il fratello; e i silenzi non voluti del malato reso muto dalla sua sofferenza. Un tempo della cura, scandito anche e soprattutto dalle parole rituali della celebrazione eucaristica, parole che servono a tenere e a dare il tempo, un tempo che nessuno può e deve togliere a quei due fratelli; parole fra cui  ne una spicca in particolare, come a confermare il suo compimento in quella stanza e altrove non si sa: “fratelli….”. Un tempo della cura per un fratello di cui nessuno si cura, per un fratello che Gildo  accoglie fra le sue braccia quasi come in una nuova rappresentazione della pietà; quasi come in una nuova maternità che compensa quella di chi ha dimenticato la sua umanità e getta in faccia a tutti quella che non è stata mai persa; e un “nuovo Cristo” tra le sue braccia, che nonostante solo in esse riesca a trovare conforto e i suoi ultimi sorrisi, solo quando Gildo andrà via riuscirà a pronunciare il suo nome……». Al termine dello spettacolo Francesco Silvestri, profondamente commosso, ha voluto ringraziare il pubblico, garantendo che «anche se lascio il testimone di “GILDO” ad altri, continuerò a seguire con amore “mio figlio” Fratellini».

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