DIRITTO AD UNA VITA NORMALE, DIRITTO CALPESTATO

Ai bambini va riconosciuta la possibilità di poter dar voce alle loro esigenze. E’ un loro diritto come quello di essere venuti al mondo. Un loro sacro diritto alla vita, all’appartenenza ai valori indissolubili quali la libertà, il rispetto, l’amore.

La sigla C8 sta per Children 8 e è il Forum dei bambini creato con l’aiuto dell’Unicef. Si svolge prima del G8 – il gruppo degli 8 paesi più industrializzati – per dare ai bambini e ai ragazzi l’opportunità di avere una voce e di sollecitare i “grandi” del mondo a discutere di temi che spesso non hanno priorità in agenda. I giovani partecipanti hanno un’età che va da 11 a 18 anni e provengono sia da paesi molto poveri – come Bhutan, Cambogia, Moldavia, Yemen, Guinea, Sierra Leone, Lesotho e Bolivia – sia da quelli del G8: Stati Uniti d’America, Giappone, Canada, Russia, Francia, Italia, Germania e Regno Unito. Nell’ultimo incontro tenutosi in Scozia nel luglio 2005, il C8 ha stilato un documento in cui è stata chiesta l’attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infan­zia in tutti i paesi del mondo ricordando ai “potenti ” che i bambini non vogliono soltanto far parte del futuro ma sono il presente.

Al fanciullo va concessa la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.

Ma un dolore inconcepibile che non riesci a digerire è apprendere dalla stampa notizie sulla morte di molti bimbi ammalati e a provocare il 70% dei decessi fra i bambini del mondo sono solo sei malattie: polmonite (19%), diarrea (18%), malaria (8%), polmonite neonatale (10%), parto prematuro (10%), asfissia alla nascita (8%).

In 42 paesi del mondo si concentra il 90% delle morti che colpiscono i bambini al di sotto dei 5 anni. Metà dei decessi si verifica in soli sei paesi: India, Nigeria, Cina, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo e Etiopia.

Il Noma è una malattia legata alla malnutrizione e alla cattiva igiene orale che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ogni anno colpisce nel mondo 500.000 bambini. È presente in 35 paesi africani tra cui il Burkina Faso mentre in Europa è sparito da 150 anni ed è ricomparso solo nei campi di concentramento. Viene chiamato “la lebbra dei poveri” che in pochi giorni deturpa il viso e porta alla morte (secondo le stime in circa 20 giorni il noma uccide da 7 a 9 bambini su 10). Si può combattere con semplici antibiotici a largo spettro somministrati dopo i primi sintomi.

La cosa più inaccettabile è considerare il fatto che ogni anno si spendono più di 70 miliardi di dollari nella ricerca e sviluppo di nuovi farmaci. Il 90% è destinato a problemi che inte­ressano solo il 10% della popolazione mondiale (obesità, calvizie, impotenza). Sui 1.393 nuovi farmaci approvati tra il 1975 e il 1999, solo 16 servivano per malattie tropicali. Eppure ancora 15 milioni di persone ne muoiono ogni anno. Mancano cure per malaria, tuberco­losi, leishmaniosi, lebbra.

Nel mondo, ogni minuto, un bambino muore per malattie correlate all’AIDS, un bambino viene contagiato dall’HIV, quattro ragazzi tra i 15 e i 24 anni diventano sieropositivi. E sono 15 milioni i bambini che hanno perso almeno un genitore a causa dell’AIDS.

Per non parlare poi dello sfruttamento lavorativo con il coinvolgimento di molti minori.

I bambini sono addirittura preferiti per le loro caratteristiche fisiche: infatti, secondo la teoria nibble fingers (dita sottili), la statura e l’abi­lità manuale dei bambini li renderebbe più efficienti per determinate tipologie di lavoro, come quella nei campi; questo perché i bambini sono molto più disciplinati e poco inclini a ribellarsi.

Secondo le ultime stime dell’ILO (Organizzazione Internaziona­le del Lavoro), nel mondo lavorano almeno 250 milioni di bambini e bambine di età compresa tra i 5 e 14 anni, di cui circa 120 milioni a tempi pieno; la maggior parte di essi si trova nei paesi in via di sviluppo (61% in Asia, 32% in Africa e 7% in America Latina): piantagioni, concerie, cave, miniere, laboratori tessili o di giocattoli (ad es. palloni da calcio usati anche in competizioni in­ternazionali), selezione dei rifiuti, trasporto di pesi, edilizia, lavoro domestico.

A Città del Messico, sono circa 9.000 i minori che lavorano come impaccatori, coloro cioè che riempiono i sacchetti della spesa nei self-service o nei supermercati: due terzi di essi lo fanno nei negozi della Wal-Mart.

A Palermo anni fa, un bambino ebbe il coraggio di ribellarsi: “Non voglio più vendere fiori ai semafori delle strade. Voglio studiare e giocare come tutti gli altri bambini”. Era un piccolo immigrato del Bangladesh di 7 anni, costretto a una durissima vita sulle strade di Palermo, stremato non ce la faceva più. Quel bambino ha chiesto aiuto alla polizia perché convincesse il padre a fargli condurre la vita normale di un bambino. Così, quando ha visto fermarsi una macchina, al semaforo della cen­tralissima piazza Politeama, non ci ha pensato un attimo: alla donna che era alla guida ha chiesto di chiamare il 113.

Così è stato. Agli investigatori ha raccontato che suo padre lo co­stringeva a passare tutti i pomeriggi ai semafori delle vie del centro, che abitava a Palermo da tre anni e che frequentava la seconda elementare. Gli ha spiegato come si svolgeva la sua giornata: alle 8 a scuola, poi mangiava e faceva i compiti: 30 minuti per mangiare, altrettanti per i compiti.

Poi alle 15 subito sulla strada, davanti a un semaforo a vendere fiori con papà. Tornava a casa alle 23, se era sabato anche all’1 di notte.

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