DEDE QORQUT POEMA EPICO TURCO – AZERO

In attesa dell’inizio del 61° Trento Filmfestival della Montagna, di cui  in questa edizione è ospite d’onore la Turchia, vorrei parlare di letteratura per conoscere sempre di più, e meglio, questo  Paese.

Le letterature che si intrecciano sono diverse e interessanti, penso che sarebbe  il caso di fare alcuni cenni anche alla greca e latina per capire meglio le interconnessioni.

Cominciamo con Omero,  (XI sec. a. C) poeta greco,  autore  di due grandi poemi epici Iliade e Odissea  dove naturalmente  troviamo riferimenti dei due Paesi Italia e Turchia.

L’Iliade racconta un epico scontro tra  troiani e greci, e dove gli dei  dell’Olimpo si schierano per le due parti contrapposte.

Pretesto della guerra è il rapimento della bellissima Elena, moglie di Menelao, re spartano, da parte di Paride principe troiano. Il re mobilita gli achei (greci) per muovere guerra a Troia, per vendicare l’offesa. Dopo nove anni di assedio la situazione precipita perché Agamennone, re acheo e fratello di Menelao, si rifiuta di  restituire a Crise, sacerdote di Apollo, la figlia Criseide, preda di guerra. Apollo colpisce il campo dei Greci con una pestilenza, costringendo  Agamennone a restituire l’ancella sottratta al padre, ma in cambio si  appropria di Briseide, ancella di Achille.

Costui, indignato, decide di non combattere più a fianco degli Achei, ma, privati del suo valore di guerriero, subiscono gravi perdite. Un amico di Achille, Patroclo, scende in campo al posto suo e, indossando le sue armi, viene ucciso da Ettore, principe e comandante in capo dell’esercito troiano. A questo punto, per vendicarne la morte, Achille, riarmato dal dio Efesto, scende in campo e uccide Ettore in duello, infierendo sul corpo e confiscandone il cadavere. Il re dei troiani, Priamo, si reca nel campo greco a chiedere la restituzione di Ettore; Achille stipula una pace personale con Priamo e gli permette di riscattare la salma del figlio. Il destino di Troia però, privato del suo eroe, è oramai segnato.

In breve ora la trama dell’Odissea. Riguarda  il periplo del Mediterraneo nell’arco di dieci anni, conseguente la caduta di Ilio (Troia), da parte di Ulisse re di Itaca. Ma gli dei, a lui ostili,  gli impediscono il ritorno in patria.

Creduto morto, nella sua reggia si stabiliscono i proci, che sperperano le sue ricchezze e aspirando alla mano di Penelope sua consorte. Nel suo continuo peregrinare  nel Mediterraneo, Ulisse perde molti compagni, causa molteplici sciagure, e deve affrontare  creature  mostruose come le arpie, le sirene, il ciclope antropofago Polifemo e le lusinghe di maghe e ninfe (Circe e Calipso). Finalmente torna a casa,travestito da mendicante, si vendica dei pretendenti e si ricongiunge alla moglie, al figlio Telemaco e il vecchio padre Laerte.

Nell’opera omerica qualcuno ha intravisto echi di battaglie svoltesi in contesti eterogenei come,  per esempio, la battaglia  di Qadeš nel 1299 a.C., tra l’esercito del faraone Ramesse II e il sovrano hittita Mutawalli, combattuta sulle rive del fiume Oronte , nell’attuale Siria.

L’Eneide, è il poema di Virgilio (I secolo a. C.) e rappresenta una sorta di continuazione dei due  precedenti.

Descrive la storia di Enea, eroe troiano, figlio di Venere e Anchise, e del suo esodo dopo la caduta di Troia.

Il poema è costruito sul modello dei poemi epici greci, narra la leggenda dei progenitori di Roma, la integra con fatti storici e la arricchisce di solenni presagi.

Enea, spinto dal fato, crea una nuova patria, per sé e per i suoi compagni. Il mito di Troia, città ubicata nell’attuale Turchia, si intreccia con la fondazione di Roma e di altre città italiane come Padova..

L’opera di Virgilio si presta a interpretazioni che si riferiscono all’eco di remoti spostamenti dei cosìddetti “Popoli del Mare”. Tali  popolazioni sono di  probabile origine anatolico-caucasica: Tereš o Turša identificati con i  tirreni o etruschi, Šekeleš identificati con  siculi e sicani, Šardana con i sardi, Eqweš o Akawaša con gli achei ed altri come Wešeš,probabilmente gli abitanti di Wilusa o troiani.

Già nel proemio, il ruolo centrale è occupato dal tema della fondazione dell’Urbe in Italia.

Ritornando  all’Odissea uno dei motivi contenuti  più noti, riguarda l’episodio  dell’incontro di Ulisse con Polifemo, il gigantesco ciclope antropofago, successivamente incontrato anche da Enea nel terzo libro  dell’opera  di Virgilio. Italici del resto sono gli scenari in cui si svolgono gli eventi.

Proprio questo canto del Ciclope trova una simmetria nel Dede Qorqut, racconto epico-cavalleresco oghuzo-turcomanno del XVI secolo, prodotto dell’ambiente centrasiatico azerbaigiano, a partire dall’XI secolo.

Le analogie  con l’episodio omerico di Polifemo furono notate dallo studioso tedesco Heinrich Friedrich von Dietz nel 1816 e poi riprese da Goethe. Sono state evidenziate anche da Ettore Rossi e riportate da un altro turcologo  italiano Alessio Bombaci.

Il Dede Qorqut o Qorqut Ata rappresenta una stratificazione  di complessi mitico-narrativi che, come scrive Bombaci, si ritrovano ancora oggi  nelle tradizioni dei turchi dell’Asia Centrale e perfino tra le remote popolazioni isolate come i turchi dei Monti Altai.

Dede Qorqut o Qorqut Ata incarna il prototipo dello sciamano  o più esattamente dell’ozan, un sorta di sciamano parzialmente islamizzato, con  caratteristiche prossime alla figura del  cantastorie e dell’aedo esaltatore  dello spirito cavalleresco degli eroi (alp). Analogamente ad Omero e a Virgilio.

Interessante l’etimologia di  “Dede Qorqut”, che letteralmente significa “nonno terrifico”, in cui l’epiteto “qorqut” è un aspetto causativo  delle forma verbale antico-turca qorq, “temere”, in azerbaigiano qorxutmaq, “spaventare”.

L’opera è composta da dodici racconti; il sesto di questi, è tra i più antichi  e ci interessa particolarmente essendo quello inerente  al Ciclope turco.

Ulisse qui è l’eroe turco Basat e il Ciclope Tepegöz il gigantesco e deforme figlio di un pastore e di una fata, dedito all’antropofagia, analogamente a Polifemo, nato da una ninfa e Poseidone.

E’ interessante come questo substrato mitologico, di provenienza centroasiatica, nel Dede Qorqut presenti simmetrie  con il testo omerico. Fatto che  solleva domande sugli antichissimi contatti  tra il mondo antico e le influenze orientali sulla cultura dell’antica Grecia.(V. Žirmuskij)

La parte che riporta maggiori analogie è quella relativa all’uscita dell’antro, nascosto sotto il vello di una pecora, in modo che Polifemo non si accorgesse della sua fuga.

Il testo del Dede Qorqut è in parte in versi e in parte in prosa.

Qui sotto il testo turco.

Che  racconta il lamento del Ciclope per l’accecamento inferto da Basat.

 

Gözüm gözüm yaluñuz gözüm

Sen yaluñuz göz-ile

Men Oğuzı şındurmış-idüm

Ala gözden ayırduñ yigit meni

Tatlu candan ayırsun Qādir seni

Eyle kim men çekerem göz buñını

Hiç yigide virmesün kadir Tangrı göz buñını

 

O occhio, occhio mio, mio occhio!

Con te, mio unico occhio

Avevo sconfitto gli Oghuz!

Tu, prode, mi hai privato del mio splendido occhio

Che l’Onnipotente ti privi della dolce vita!

Poichè tanto io soffro per il dolore all’occhio

E che Iddio Onnipotente non renda a nessun prode tale dolore!

 

Pur tra tante corrispondenze, non mancano le discrepanze. Basat è solo mentre Ulisse ha sei compagni. Basat uccide Tepegöz intenzionalmente, mentre Ulisse pensa solo alla fuga dopo l’accecamento. Infine, a differenza di Ulisse, Basat rivela il proprio nome al Ciclope.

Interessanti le caratteristiche dei due eroi: Ulisse si caratterizza per quell’attributo  “ricco d’astuzie”  (L’uomo ricco d’astuzie raccontami, o Musa, che a lungo/ Errò dopo ch’ebbe distrutto la rocca sacra di Troia) che lo rende una figura prometeica e

imbevuta di spirito faustiano e non benvoluto dagli dei, che lo costringono e peregrinare in un Mediterraneo insidioso e tempestoso. Quando Polifemo gli chiede il nome, Ulisse elude la domanda, al contrario di Basat, il quale, dimostrando di essere una figura che rappresenta l’archetipo  dell’eroe senza incrinature o lati crepuscolari, rivela con fierezza e dovizia di particolari il proprio nome a Tepegöz.

E Tepegöz chiede a Basat:

 

Alp eren erden adın yaşurmak ayıb olur

Aduñ nedür yigit digil maña

 

É disonorevole per un valoroso guerriero celare il proprio nome

Qual è il tuo nome? Dimmelo o prode!

 

Basat risponde:

 

Qalarda qoparda yirüm gün ortaç

Qaranu dün içre yol azsam umum Allah

Qaba alem götüren hanumuz Bayındır Han

Qırış güni öngdin depen alpumuz Ulaş oğlı Salur Qazan

Atam adın sorar olsañ Qaba Ağaç

Anam adın dir-iseñ Qagan Aslan

Menüm adum sorar-iseñ Aruz oğlı Basatdur.

 

Stanziale o in movimento la mia terra è a mezzogiorno

La mia parola d’ordine, ove smarrissi la via nella notte buia, è Allah

Chi porta il nostro vessillo è il nostro sovrano, Bayindir Khan

Colui che precede nel giorno della battaglia è il nostro eroe Salur Qazan figlio di Ulaš

Se vuoi sapere il nome di mio padre è Qaba Agač

Il nome di mia madre è Qagan Aslan

Se lo chiedi Basat è il mio nome, figlio di Aruz.

 

Per concludere: pur essendo Ulisse, da un punto di vista letterario, cronologicamente più antico rispetto a Basat, appartenendo quest’attributo dell’“astuzia” ad un ciclo di prevaricazione titanico-prometeica, risulta essere più recente.

Le caratteristiche di Basat, invece, corrispondono  ad un ciclo eroico e ad un’etica avente per valori fondamentali: l’onore, la verità, il coraggio e la lealtà, quindi ad un’epoca più antica.

Voglio ringrziare qui il dottor Ermanno Visintainer, turcologo, che mi ha gentilmente fornito il materiale per l’articolo

 

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