DAL PROIBIZIONISMO AI MICROBIRRIFICI AMERICANI

Nonostante l’immagine poco edificante che mostrano certi strati della cultura europea sulle abitudini alimentari e sui gusti relativi al bere degli americani, gli Stati Uniti contano una produzione di birra e vino decisamente interessante.

Certo la maggior parte della produzione vitivinicola del paese si fonda su quei discutibili vini dai profumi fortemente marcati dalla barrique. La birra industriale poi è a tratti ancora più discutibile di certe birre del mediterraneo. Ma gli Stati Uniti, come ogni paese in fondo, non si limitano soltanto a quell’immagine fortemente consumistica, poco attenta alla qualità e più propensa alla quantità. E’ ovvio che questi aspetti fanno anche parte della società statunitense, ma vi è anche dell’altro. Basta provare qualche pinot nero dell’Oregon, per rendersi conto che questa regione vinicola non ha nulla a che spartire con i vanigliati vini californiani e che è in grado di dare lezioni di enologia ai vari enologi europei,  che si ostinano a impiantare pinot nero in zone troppo calde, affinché questo vitigno possa dare buoni risultati.

Lo stesso discorso può essere fatto anche per la birra. Negli USA, questa bevanda ha sempre avuto un grande successo. Basti pensare che il fatturato di una grande azienda birraia americana è superiore a quello di alcune nazioni europee. Non poteva essere altrimenti, in un paese che conta oltre trecento milioni di abitanti.

Sebbene gli americani ci tengano a precisare che la birra fosse già prodotta da alcune tribù native, questa in verità si limitava a essere una semplice bevanda a base di mais fermentato, molto distante da quello che noi intendiamo per birra. La birra vera e propria verrà portata negli USA dagli inglesi. Se in Europa la birra si produceva solo da orzo, negli Stati Uniti si inizierà a produrla anche da altri ingredienti. La scelta di nuovi ingredienti, come il mais, non è dettata da un legame con la tradizione dei nativi americani, bensì da questioni politiche. Prima della Guerra d’Indipendenza Americana si producevano birre di puro stile europeo, come l’ale inglesi, le stout irlandesi e le pilsner ceche. Durante gli anni della guerra, gli Stati Uniti daranno avvio a una politica di boicottaggio dei prodotti inglesi. Si diede così l’avvio alla produzione di birra totalmente nazionale. Invece di utilizzare solo orzo, si introdusse anche l’uso del mais e, in minore quantità, di altri ingredienti. Ma soprattutto si diede inizio alla coltivazione, in quantitativi considerevoli, di luppolo, prima importato dall’Inghilterra e a sua volta proveniente dall’Europa centrale.

L’industria birraia americana, però, trovò presto nuove difficoltà. Data al 1919 l’entrata in vigore delle leggi proibizioniste, che determineranno la chiusura dei birrifici. La stessa produzione clandestina di birra sarà inevitabilmente minore, rispetto a quella dei distillati, come per esempio il whisky.

L’entrata in vigore delle leggi proibizioniste fu determinata dalla forte spinta moralizzatrice che caratterizzò, e tutt’oggi caratterizza in parte, la società americana. Gruppi di derivazione religiosa divennero presto centri di potere capaci di influenzare politici, società e governi sia locali, sia nazionali. Quello che iniziò come un battaglia, non senza fondamento, contro il degrado causato dal consumo di alcolici negli strati più deboli della società, si trasformò presto in una battaglia caratterizzata dall’isterismo religioso. Non ci si limitò solo a bandire del tutto gli alcolici, quello che veniva considerato come pornografia e l’oppio, fino al 1914 ancora legale, ma si diffuse un astio verso tutto quello che poteva attentare alla morale puritana. Basti pensare che si arrivò a concepire di proibire l’esposizione di opere d’arte, dove venivano mostrati corpi nudi.

Ovviamente il problema del degrado non venne risolto o quanto meno si fece largo un problema ancora maggiore, come la malavita organizzata, che la fece da padrone nel mercato nero degli alcolici.

Assieme alla nascita della produzione di alcolici clandestini, si ebbe un degrado notevole nella qualità del prodotto alcol. Soprattutto i distillati si rivelavano certe volte mortali, poiché non soggetti ad alcun controllo sanitario.

Sebbene la birra si continuò a produrre, ora nel mercato clandestino, la sua diffusione si restrinse tantissimo. Era molto più conveniente produrre superalcolici piuttosto che birra. Anche dopo la fine del proibizionismo, nel 1933, l’industria birraia non si recuperò del tutto a causa della grande depressione, che impedì la riapertura di molte fabbriche e concentrò il mercato degli alcolici nelle mani di pochi produttori, facendo sì che si venisse a formare una specie di monopolio, che ebbe come conseguenza uno scadimento complessivo della qualità della birra.

Bisognerà aspettare gli anni Ottanta, per poter finalmente assistere alla creazione di piccoli produttori. Negli anni Novanta, poi, si incominciano a produrre altri stili di birra, oltre a quello ormai screditato delle lager. Si riprenderà a produrre birre di stile inglese e particolarmente fortunata sarà la India Pale Ale, che qui ha caratteristiche particolari, tanto da venire battezzata come American Pale Ale, per marcarne la differenza rispetto a quelle inglesi.

La grande distanza geografica tra l’America e l’Europa, ha però impedito al mercato di conoscere veramente cos’è la birra americana, che tutt’oggi viene associata a una lager bionda di poco interesse, mentre il paese conta una serie innumerevole di micro birrifici, a volte per niente micro, con prodotti validissimi.

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