CREPUSCOLO NEL SOLE

           Una doppia biografia delle origini, così si potrebbe definire il più atipico dei lavori di Pascal Schembri, intitolato al suo paese di nascita e a un “tramonto annunciato nella luminosità di un’esistenza riassunta”.

Incontriamo l’autore a Parigi e gli poniamo qualche domanda per meglio muoverci nell’universo variegato della sua produzione letteraria che, di romanzo in saggio biografico, mette alla prova il lettore più smaliziato.

Innanzi tutto il genere: come definirebbe questa sua opera? Un romanzo, una biografia, un saggio storico?

Né l’uno né l’altro di questi, e un po’ tutti insieme. Nella ricostruzione delle vicissitudini della Sicilia dai tempi antichissimi a oggi c’è la Storia. Nelle vicende della mia vita legata alla mia terra d’origine c’è l’autobiografia ma c’è anche il romanzo per la forma adottata nella narrazione. Il tutto avvolto in un tono saggistico che ho cercato di tenere il più leggero possibile.

Il libro procede su due binari distanziati con regolarità. Ce li può illustrare?

Sul primo corre l’esistenza di Realmonte, il mio paese di nascita, la cittadina in provincia di Agrigento che nel testo seguo da prima della sua comparsa sulla sponda sud dell’isola, insomma dalla Sicilia preistorica, fino a ciò che oggi è diventata.

E sul secondo?

Sul secondo corre la mia vita, dal primo contatto con i miei avi alla definitiva dimora in quel di Parigi, dove ancora risiedo. Il periodo dunque è limitato alla mia permanenza al mio paese fino all’emigrazione in Francia. Sebbene la Sicilia sia sempre nel mio cuore, e lo prova il fatto che vi faccio ritorno tutti gli anni e non solo d’estate, Parigi è la città d’adozione che amo con trasporto non minore, un luogo che meriterebbe forse un altro troncone di autobiografia. Perciò mi sono limitato a narrare in alternanza alle vicende dell’isola quelle della mia vita fino alla mia partenza per Parigi, in modo che i binari continuino a correre paralleli senza che uno prosegua poi nel cuore dell’Europa lasciando indietro le origini.

Due cuori separati dunque, Realmonte e Parigi?

Non direi. O forse due cuori diversi, sì, ma uniti da un unico battito. È solo la sequenza cronologica a distinguerli, l’infanzia e il passato che si riversano comunque nell’oggi. Il mio paese è sempre con me, ovunque io sia, credo che sia questo il senso che mi ha mosso a scrivere questo libro. Eppure sono un’anima perfettamente radicata nella capitale francese, un parigino adottivo che non rinnega le sue origini, anzi vuole indagarle, riscoprirle per dare a ogni cosa il giusto posto.

La nostalgia del trapiantato?

La  nostalgia è un sentimento cui si dovrebbe avere diritto, pur vivendo nella città più bella del mondo. La nostalgia è uno stato d’animo metaforico, una trasposizione dell’inquietudine umana a prescindere dal luogo in cui si vive. Non il dolore del ritorno, poiché nulla mi impedirebbe di tornare a stabilirmi in Sicilia, bensì la dolcezza del ricordo, del pensiero della prima casa, dove sono rimasti i miei famigliari, dove sono sepolti i miei genitori. Non sono un esule, sono un bilingue: uno che può permettersi di scegliere dove stare e che nella scelta ogni volta non rinuncia ad amare entrambi i luoghi. È naturale che canti per primo quello in cui non sono.

Non c’è solo nostalgia, nel suo libro. Anche l’ironia gioca un ruolo rilevante.

Senza ironia non si potrebbe ricordare nulla. È indispensabile per raffigurare l’ambiguità dell’esistenza e anche per mantenere il giusto distacco. Guardando il me stesso di allora mi è capitato di sorridere, così come a volte mi è capitato di sorridere di simpatia, mentre scrivevo, per le piccole e grandi tragedie che hanno caratterizzato l’alternarsi delle occupazioni della Sicilia nei secoli a opera dei potenti di turno. Identificandomi con l’homo gracilis da cui si dice siano discesi anche i siciliani, mi sono ritrovato nei panni di un uomo semplice, abitante di un’isola tanto desiderata quanto maltrattata, senza che però mi venisse mai l’impulso di compiangermi. L’ironia è un tratto tipico del siciliano, ci ha fatto resistere ai peggiori soprusi, ci fa andare avanti a testa alta a dispetto di giudizi magari non sempre lusinghieri.

Si tratta comunque di un atto d’amore verso la sua terra. Si coniuga secondo lei l’ironia con l’amore?

L’amore è cieco e l’ironia è realista. Si tratta del matrimonio più felice che possa esistere. Una perfetta complementarietà. Mentre racconto dei miei amori e delle passioni dei governati dei secoli trascorsi sono realista e ironico, appassionato e partecipe, per questo la biografia è doppia, mia e del mio paese. Alla fine la storia di un uomo confluisce inevitabilmente in quella della comunità che gli ha dato origine.

E la prossima mossa editoriale di Pascal Schembri sarà in linea con questa o cambierà di nuovo direzione?

È prevista l’uscita in novembre di un mio saggio biografico su Mario Monicelli intitolato La Morte e la Commedia. Non è un cambio di direzione, mentre narro la vita del grande regista della commedia all’italiana mi è impossibile astrarlo dall’Italia in cui ha vissuto, dal periodo storico della Prima guerra mondiale e del dopoguerra fino e oltre al Duemila. Come vede, ancora un Paese e ancora un Uomo.

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