CONCETTO DI DIVERSITA’: ESISTE ANCORA?

Nell’era della globalizzazione cioè in quella in cui viviamo cos’è che sfugge agli occhi di tutti?

In un’epoca in cui valgono le convenienze, i sotterfugi, gli inganni e i compromessi cos’è meglio portare avanti un progetto di vita o metterselo dietro alle spalle e voltare pagina?

Il concetto di diversità esiste ancora in una società della globalizzazione?

Questa diversità è spesso concepita come la risultante di differenti vicende e tradizioni migratorie, differenti modalità di incorporazione dell’immigrato nella società di arrivo, differenti valutazioni del fenomeno migratorio.

L’integrazione deve essere intesa come un progetto finalizzato a un rapporto di pacifica convivenza tra individui e gruppi culturalmente ed etnicamente differenti.

E allora cosa ci si aspetta da questa società che punta il dito sullo straniero?

Si, perché questa è la società del trasformismo e del modernismo dove considera l’immigrato o lo straniero un soggetto inferiore almeno questo è quello che ho appreso una sera durante una pacifica conversazione tra amici. Pacifica inizialmente perché la cosa poi si è conclusa degenerando in illazioni, insulti e frasi riparatorie del tipo: “se Dio ha creato etnie diverse un motivo ci sarà. Forse ha voluto metterci alla prova, forse si aspetta da noi una presa di posizione… forse e sicuramente si aspettava da noi un unico percorso quello della fratellanza fra i popoli”.

Il mito della purezza linguistica, culturale e razziale è appunto un mito senza nessun fondamento ed andrebbe espulso definitivamente non solo per i danni che ha storicamente causato, ma perché è storicamente e scientificamente infondato.

L’unico problema è il rispetto, quella forma di rispetto per le diversità etno-culturali, purché quest’ultime non ledano i diritti umani fondamentali e purché non mettano a rischio la vita e le istituzioni democratiche.

Esiste ancora in realtà quel terribile pregiudizio ma di cosa? E perché?

L’educazione interculturale è nata in parallelo ai fenomeni economico-sociali ma soprattutto come lotta al pregiudizio evolvendosi come educazione multiculturale o come mi piace dire educazione alla mondialità.

È un processo non facile e sicuramente non indolore.

L’Italia è terra d’immigrazione. Parallelamente alla crescita della presenza di stranieri crescono anche le prime comunità soprattutto nelle grandi città e intorno ad essi gruppi di volontariato, che trovano nel sostegno agli stranieri uno dei canali attraverso i quali si esprime l’impegno sociale come la Caritas. Nascono le prime feste multiculturali legate ai vari gruppi-comunità ed è questo un primo segno di scambi come primo ed essenziale modo di confrontarsi con gli altri mostrandosi i diversi modi di rapportarsi con il cibo, il vestire e la cosiddetta “vita materiale”.

Un intervento interculturale può avvenire nei contesti in cui individui e gruppi siano consapevoli e coscienti del proprio retroterra culturale e linguistico e diano, nello stesso tempo, fiducia e valore agli individui che sono diversi da loro.

Si deve prendere in considerazione il fatto che la nostra identità personale influenzi il modo in cui percepiamo gli altri.

Se siamo pervasi dalla debolezza, segno di insicurezza della propria identità, della propria storia individuale, familiare e sociale, se abbiamo paura del nostro futuro siamo predisposti a vedere nei nuovi arrivati un pericolo, una minaccia.

Non bisognerebbe dimenticare che ogni individuo è unico per quello che è anche se ognuno è influenzato dal proprio retroterra linguistico, culturale ed etnico.

Capire la propria e le altrui culture è un processo che dura tutta la vita. 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it