È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
”COMPITO PRINCIPALE DELLO STATO E’ “ L’EDUCAZIONE PER TUTTI “ ARISTOTELE
30 Lug 2012 17:21
Debito pubblico, spesa pubblica, amministrazioni inefficienti, reti e servizi organizzati sempre in danno del consumatore e dell’interesse generale, banche inefficienti, una giustizia dalla quale i cittadini diffidano e che sanno avere tempi biblici, incoerenza agli ideali politici e nei confronti dei propri ideali e delle scelte politiche. Paura nel portare avanti idee ed iniziative, vuoi per l’indisponibilità di danaro che per la mancanza di fiducia nel futuro, ci si chiude sempre di più a riccio.
Questo il panorama vero e angoscioso dell’Italia di oggi. Tutti innocenti, sia chi ha governato in ambito locale che nazionale. Partiti , uomini e donne che nella politica e nei posti di potere, hanno preso decisioni senza preoccuparsi del domani ma solo del consenso dell’oggi. Persone che hanno deliberato spese, consulenze, approvato bilanci e leggi rivelatisi mal pensate ed applicate.
Il tessuto sociale, nel suo insieme, per alcuni versi è più sano di quanto possa apparire. Sta alla politica cogliere il sano e rilanciarlo, ma la politica oggi è tutta malata? Girano troppi soldi, e fa spaventare, chi entra nei partiti, per far carriera, invece che adoperarsi per il bene comune, rileviamo dopo tempo che lo ha fatto solo per un appannaggio personale.
Dacia Maraini “ Fare politica è una missione, è come insegnare o curare i malati, è mettersi al servizio degli altri”, oggi dobbiamo rigenerare la politica. Si, ma come?
EDUCARE (da cui educazione) dal latino e-ducere “tirar fuori, condurre fuori”, anche in tedesco la parola Er-ziehung (“educazione”) alla lettera significa “TIRAR FUORI”.
Educare, uguale ad allevare, tirar su, in inglese to bring up. Da che cosa? Da uno stato di torpore, di noia intellettuale, di povertà, di pochezza, di mancanza.
L’occidente concepisce l’educare come un tirar fuori l’umano dalla povertà e dalla pochezza, dell’iniziale condizione, quasi animale, in cui si trova l’educando. Questo il rapporto fra docente e discente, tra politica e società.
L’educazione è il condurre l’uomo nella crescita, nella produzione, nella trasformazione, nell’invenzione, nella manipolazione, nel tirar su il potenziale presente nell’uomo.
Spesso il politico da educatore diventa errante e allora ricorre alla spettacolarizzazione, per nascondere le incapacità o gli interessi privati o delle caste.
Si parla insistentemente di una Sicilia ormai in ginocchio, sull’orlo del collasso. Oggi nessuno sembra essere responsabile di nulla. Mi chiedo, guardando i cambiamenti di un territorio tra i più belli della Sicilia, quello della provincia di Ragusa, e immaginando l’ottimo paesaggio che videro i Greci durante la loro colonizzazione: vaste superficie di boschi e poche terre coltivate dagli indigeni nell’entroterra, ma è vero, le risorse e le potenzialità siciliane che furono viste dai primi colonizzatori sono scomparse. Con l’arrivo dei greci il paesaggio comincia a cambiare. Da naturale comincia a trasformarsi in agrario. E il grano rappresenta la coltura più diffusa. Già nel V secolo a.c. Roma acquista grano dalla Sicilia e lo si esporta in Grecia. Il seminativo dunque, ma con la colonizzazione greca si diffonde l’olivo. Tucidide parla di campi d’ulivo delimitato da chiuse. Mentre nella monetazione di Nasso si testimonia l’introduzione della vite. Vicino a queste colture, vi erano il melograno, il fico, il pero, il melo siciliano e camarinense, il mandorlo, l’albicocco.
Alla fine della dominazione romana, il territorio era ricoperto da boschi di alto fusto: querce, castagni, pini e poi grano, vite, olivo ed una fitta boscaglia di ginepro,lentisco, palma nana.
Con l’arrivo degli Arabi vi è l’introduzione di nuove piante: agrumi e cotone,. I fiumi erano navigali.
Durante il XV secolo si parla della diffusione dell’enfiteusi cioè concessioni perpetue di terra a terzi dietro pagamento di canone in natura. Con l’enfiteusi il paesaggio agrario cambia. Dal 1550-1564 con tale sistema si distribuiscono 45.000 ettari di terra e tutto questo continua nel XVI secolo e per tutto il XVII secolo.
I “muri a secco” danno forma al paesaggio che servono sia come “spietramento” che come delimitazioni in “chiuse” della proprietà, evitando sconfinamenti del bestiame. La nostra provincia è così divisa in poderi, o masserie di venti, trenta, cinquanta e più salme chiuse con muraccioli di pietra squadrate sovrapposte le une alle altre senza alcun cemento. Nelle chiuse si possono vedere al pascolo pecore, asine, cavalle, buoi e vacche. Inoltre si ebbe la coltura del carrubo. Nel 1850-75 , l’innovazione agronomica subisce un cambiamento: si coltivano fibre tessili quali cotone, canapa e lino, vi sono risaie e coltivazioni di ortaggi.
Nel ventennio 1850/70 con l’allevamento si consolida la razza modicana, una razza di bovini che per le sue doti di rusticità si adatta al territorio degli iblei, notoriamente duro per la presenza di pietre e periodi di siccità. La razza modicana è a triplice attitudine da cioè carne latte e forza lavoro. Nel XIX si modifica di nuovo il paesaggio agrario, si diffondono sempre di più le “masserie” e accanto ad esse si costruiscono le “casine padronali,” utilizzate dai proprietari dei fondi.
La campagna subisce la grande crisi degli anni ’30, fino alla fine degli anni ’50, quando nel settore agricolo nascono le serre. Spianamenti di dune, scavi di pozzi, abbattimenti di carrubi ed ulivi. L’ambiente si trasforma.
La Sicilia e gli Iblei hanno nei secoli dimostrato di avere grandi qualità innovative partite sempre da un substrato culturale , oggi si dice di un default, ma è vero? forse chi lo dice non considera le nostre origini, quà ci sono risorse e capacità, basta solo sbrigliarle, metterle in campo, cassare gli impedimenti burocratici di regime, credere di più in chi propone innovazioni, bisogna fare speculazioni intellettuali, ricollegare il territorio alla politica, ricollegare la società alla cultura, mettere in campo le innovazioni e la ricerca universitaria, ridare alla ricerca il giusto spazio in tutte le arti e attività, metterla in campo, relegare gli arrivisti nel limbo, ricollocare nei posti dirigenziali chi ha capacità, qualunque sia l’appartenenza politica e mettere definitivamente da parte quelle scelte umorali, determinate da concetti di vassallaggio medioevali.
Perfetti impudenti sosteneva Schopenhauer essere gli italiani, gente senza il senso della vergogna. Se così è per alcuni, che hanno sono stati nei posti di potere, non lo può dire per altri che riconoscono gli errori commessi e che hanno una forte spinta per la rivalutazione delle dignità di un popolo, che sa soffrire, all’occorrenza, in maniera composta.
Una società non funziona se non c’è riguardo, attenzione e rispetto per gli altri. Quel che manca nel nostro paese è una politica nazionale o locale come servizio pubblico, il riconoscimento del merito e dei diritti, la lotta vera alla corruzione, la solidarietà. Tutto si basa sulla mancanza di un sentimento elementare che è il sentimento dell’altro: un egoismo che rifiuta e disprezza l’altro in genere, l’anziano povero, il diverso, l’immigrato, gli svantaggiati.
Nella cultura odierna, l’individuo viene privato della sua autonomia è costruito per comprare, per consumare, una cultura senza etica che ha lo scopo di demolire la memoria collettiva e le conquiste dei decenni passati. Non si deve avere memoria perché la memoria è confronto e riflessione con se stesso con il passato e tra generazioni, il confronto aiuta ad orientarsi nel presente, a scegliere e giudicare, a essere attivo non passivo. Tutti innocenti oggi?
Ci si forma con un Walt Disney che inganna la realtà, la addolcisce, la falsifica. Si lavora con il meccanismo di esclusione di chi non sta al gioco di apparire.
L’e-ducere è educare all’ascolto, alla partecipazione, all’inclusione, alla comunicazione, alla trasparenza, all’affidabilità. Un’amministrazione pubblica o privata, quando interagisce con la gente, lo fa non con un suddito, non con un utente/cliente ma con un cittadino. Significa che tutti i cittadini sono soggetti attivi e meritiamo rispetto.
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