CHARDONNAY, LA LONGEVITÀ DEL BIANCO

Lo chardonnay è il vitigno bianco internazionale per eccellenza. Il suo territorio d’origine è la Borgogna, ma oramai è diffuso in qualsiasi zona vitivinicola del mondo. In Borgogna, però, vi si trovano le migliori espressioni di questo vitigno vinificato fermo, mentre nella versione spumante trova l’eccellenza in Champagne.

Lo chardonnay non è un vitigno adatto a mezze misure: o si punta a produrne grandi vini da invecchiamento o non conviene neanche impiantarlo, poiché non è un vitigno semplice come lo si reputa.

È considerato un vitigno facile, perché si adatta a molteplici territori e giunge facilmente a maturazione. Tuttavia è proprio questo il suo problema: essere un vitigno molto precoce. Quindi, germoglia e matura presto. Germogliando presto è soggetto, nelle zone più fresche, alle gelate primaverili che ne possono compromettere l’intera produzione. La maturazione precoce, invece, comporta vendemmie nella seconda metà di agosto e in zone particolarmente soleggiate o in annate particolarmente calde anche prima di ferragosto. Le maturazioni precoci provocano il più delle volte cadute vertiginose dell’acidità. Nelle annate particolarmente calde, quindi, lo chardonnay non dà buoni risultati, anche perché bisogna tenere conto, che questo vitigno già di suo possiede poca acidità; perdendo anche questa giunge a premature ossidazioni.

Nella zone calde, come in Sicilia, per impiantare chardonnay bisogna in primo luogo cercare terreni in altimetrie abbastanza alte per godere di buone escursioni termiche e, magari, dopo aver deciso quando vendemmiare, farlo verso le tre del mattino, quando i grappoli d’uva si sono rinfrescati dal caldo diurno, in modo da non perdere profumi e acidità.

Al problema dell’acidità, va aggiunto un altro problema: questo vitigno presenta acini con buccia sottile. Questo vuol dire che è molto sensibile a certe malattie e alle muffe.

Tutti questi fattori ci fanno capire che lo chardonnay non è assolutamente un vitigno facile, almeno per chi cerca di ottenere buoni risultati. Ma se non si vogliono produrre vini importanti, non conviene neanche impiantare chardonnay, poiché nelle versioni semplici i vini da questo vitigno risultano essere il più delle volte abbastanza anonimi e con pochi spunti d’interesse.

In Italia lo chardonnay è giunto in due momenti diversi per dare vita a due versioni diverse. Il suo primo viaggio in Italia lo si deve a Giulio Ferrari, che fatto un viaggio in Champagne, si innamorò dei vini spumanti e cercò di ricrearne uno in Trentino.

Il secondo viaggio in Italia nella versione tranquilla, lo chardonnay non lo fece via Borgogna, la sua terra nativa, ma lo fece dalla California. Negli USA il produttore di vini Robert Mondavi per ricreare un vino a base chardonnay con la caratteristica nota fumé che il terroir della Borgogna dà ai suoi vini, in mancanza di quel territorio, ebbe l’intuizione di passare lo chardonnay in barriques fortemente tostate. In questo modo il legno cedeva al vino le sue note tostate regalando chiari sentori fumé. Nasceva un nuovo concetto del vino distaccato dal terroir, che nonostante le molte critiche che gli sono state mosse, ha comunque imposto un concetto di vino che ha avuto un successo strepitoso.

La disgrazia dello chardonnay è stata la sua facile adattabilità che lo ha portato a essere coltivato ovunque e ovunque lo si è passato in barriques. Si diffuse così una produzione abnorme di chardonnay in barriques, che ha avuto come conseguenza un appiattimento del prodotto e del gusto dei consumatori. L’Italia non ne fu immune e per molto tempo si produssero vini da uva chardonnay strozzati da un uso eccessivo del legno.

Oggi la situazione è cambiata abbastanza e molti errori del passato sono più difficili da ripetere. Si è capito che il legno deve essere un supporto al vino e non il suo aroma. Gli sbagli di oggi con lo chardonnay si fanno impiantandolo in zone non adatte o vinificandolo in versioni non appropriate per questo nobile vitigno.

Lo chardonnay è abbondantemente presente in Sicilia, decisamente troppo. Non ha senso la sua presenza in così tante doc isolane, dove non si hanno risultati rilevanti da questo vitigno. Nonostante tutto, non mancano grandi vini siciliani da uve chardonnay. Basti pensare allo Chardonnay di Tasca d’Almerita o a quello di Planeta. Vini che sono riusciti a imporsi come fuoriclasse. Per fare ciò però i produttori hanno dovuto cercare un terroir adatto, certamente non troppo caldo, con grandi escursioni termiche, rese bassissime e prestare grande attenzione alla vendemmia e vinificazione. Sono nati così dei grandi chardonnay passati in barriques anche in Sicilia e che hanno, inoltre, grandissime potenzialità d’invecchiamento. Ed è questa la caratteristica che rende grande lo chardonnay: la sua naturale propensione, quando ben trattato, all’invecchiamento, anche ventennale.

 

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