Il Direttore generale dell’ASP di Ragusa, dott. Giuseppe Drago, ha partecipato questa mattina alla Conferenza dei Sindaci, convocata dal sindaco di Ragusa, avv. Giuseppe Cassì, al palazzo comunale. Era presente anche il Direttore sanitario aziendale, dott.ssa Sara Lanza. “Si è trattato di un incontro cordiale e proficuo – sottolinea Drago – durante il quale ho […]
BARRIQUE O NON BARRIQUE?
08 Lug 2011 17:11
Il dibattito enologico, italiano e non solo, è attraversato in questo preciso momento da una discussione di fondamentale importanza, che se venisse percepita da una notevole parte dei consumatori, potrebbe avere un risvolto molto positivo sul vino italiano.
Il quesito è: barrique o non barrique? In pratica, dopo che il mercato globale ha chiesto vini fortemente barricati, spinto soprattutto dal gusto dei paesi emergenti per il consumo di vino, ci si sta interrogando sui limiti di un prodotto di questo tipo.
I sentori, in genere speziati dolci, come la vaniglia, o tostati, come il caffè, che trasmette la barrique nuova, ossia la botte di piccole dimensioni, hanno dato come risultato un’omogeneità del prodotto al punto da renderlo prevedibile. Non importa se un determinato vino è prodotto nella Napa Valley, California, o in Sicilia. Non importa se uno è merlot e l’altro è nero d’Avola. Un adeguato passaggio in barrique nuove omogenizza i prodotti, rendendoli fortemente simili e di conseguenza prevedibili. Ed è proprio sul prevedibile che si punta. Il vino è un prodotto vivo, che con gli anni si evolve e cambia aspetto. Non solo. Uno stesso vino, in base all’annata, sarà sempre diverso. Questo aspetto del vino, che è quello che lo rende affascinante, non è percepito dai consumatori del nuovo mondo, che invece vogliono un prodotto sempre uguale, immune in pratica dal fattore annata. Da ciò scaturisce anche che spesso la barrique è stata usata per nascondere i difetti di un’annata difficile o peggio per mimetizzare un prodotto di non particolare pregio qualitativo.
Il dramma è stato che questo concetto e gusto, come in tantissimi altri campi, si è esteso anche nei paesi di antichissima tradizione vitivinicola: l’Italia, tanto per fare un esempio, ma neanche la Francia ne è uscita immune. Si è assistito progressivamente a un aumento della produzione di vini barricati, in genere si tratta del vino di punta dell’azienda, che ha travalicato il territorio a scapito di un sostanziale appiattimento del prodotto. I vini prodotti in regioni distinte e da vitigni diversi con un adeguato affinamento in barrique nuove risultavano difficilmente riconducibili a una determinata zona territoriale.
Da questo è sorto un secondo problema. Trattandosi generalmente del vino di punta, ci si imbatte su vini dal prezzo esorbitante, spesso non giustificato.
Tutti questi limiti stanno venendo a galla. Forse rimarrà solo una discussione tra pochi, ma certo è che sono idee che lentamente si stanno diffondendo. Perché nell’omologazione del vino vi sono altri due limiti essenziali per chi è un attento conoscitore del vino: il terroir e la maturazione del vino.
Visto che la barrique appiattisce il prodotto, di conseguenza la particolarità e il carattere che imprime un terroir molto vocato vengono nascosti da questo tipo di affinamento. Da ciò si deduce che spesso molti vini sono fortemente barricati, proprio perché non hanno un gran terroir, che possa dare loro carattere e di conseguenza non hanno un grande valore, anche se vengono venduti come se lo avessero, a giudicare dai prezzi.
L’ultimo problema che hanno posto questi vini è stata la loro evoluzione. Una risposta oramai è certa: i vini fortemente barricati non perderanno mai questa componente. Si potrà attenuare con gli anni, ma mai sparire e soprattutto rimarrà il carattere dominante del vino. Questo nuovo limite rientra ancora nell’idea del vino omologato, che deve essere sempre uguale a sé stesso.
Tutte queste critiche, che hanno trovato spunto nel bellissimo documentario Mondovino di Jonathan Nossiter, hanno portato però a un rifiuto indiscriminato della barrique in una piccola fetta dei consumatori italiani, che prediligono la botte grande o l’anfora, molto in voga adesso, perché ritenute più consone alla tradizione italiana.
Effettivamente la barrique è di origine francese, precisamente bordolese ed è nata per soddisfare la richiesta che questo vino aveva in Inghilterra. Tenuto conto che anticamente il vino veniva venduto sfuso, era molto più semplice trasportare il vino in botti piccole, piuttosto che in botti grandi. La barrique giunge in Italia già prima dell’unità della penisola, ma trova la sua effettiva diffusione con l’avvento dei vini californiani, che si caratterizzavano proprio per la forte incidenza della barrique sul vino. Da qui si è poi diffuso globalmente questo tipo di vino.
Ora questa esorcizzazione della barrique ha portato un preconcetto errato: ossia che tutti i vini barricati siano uguali. Bisogna tenere presente che è la mano dell’enologo a decidere quanto questa inciderà sul vino, quindi è un risultato voluto, che si può evitare. Basti pensare che a Bordeaux tutti i vini fanno passaggio in barrique, ma che, tranne qualche caso isolato sorto proprio per soddisfare il mercato americano, di sentori da barrique nei vini di Bordeaux non vi è traccia. I motivi sono essenzialmente due. La prima è la mano dell’enologo, che deve essere capace di capire la qualità dell’uva che ha in quella particolare annata, per regolarsi con il periodo di affinamento. La seconda è il grande terroir che possiede Bordeaux e l’ottimo studio che si eè condotto su questo, in modo da poterne trarre la migliore interpretazione possibile.
La barrique, quindi, non ha direttamente nessuna colpa di questo fenomeno dell’omologazione del vino, bensì è il produttore, che per poca esperienza o per richiesta di mercato, fa un cattivo uso della barrique. E in Italia di questo cattivo uso, se ne è fatto e se ne fa ancora ampiamente uso.
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