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ANTONIO ROSMINI
11 Mag 2014 21:40
Il filosofo più importante del neospititualismo ottocentesco e fautore del rinnovamento della Chiesa e della separazione tra il potere religioso e il potere politico, fu Antonio Rosmini-Serbati. Nacque a Rovereto (Trento) il 27 marzo 1897, di nobile famiglia; i suoi studi universitari di filosofia si svolsero presso l’ateneo di Padova, dove conobbe Nicolò Tommaseo e di cui rimase sempre amico. Abbracciò la carriera ecclesiastica vincendo le resistenze dalla famiglia e venne ordinato sacerdote il 21 aprile 1821, l’anno successivo la morte del padre. Si trovò erede di una grande fortuna, ma questo creò molti dolorosi contrasti col fratello Giuseppe.
Antonio Rosmini non si occupò mai di politica militante, (a parte una parentesi del 1848, per conto del governo piemontese), ma il suo distacco dai conflitti che dominano la vita culturale italiana fu più apparente che reale: infatti anch’egli condivideva l’ansia delle generazioni del suo tempo, imboccando però una strada, che non era polemica, ma altamente speculativa, tesa a una riforma interna della Chiesa. La sua attività mirò a ripristinare, sul piano filosofico, l’accordo della filosofia con la religione contro il sensismo e l’Illuminismo, denunciati per le loro conseguenze distruttive tanto in sede teorica che in sede pratico-politica.
La sua ambizione era quella di opporre all’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert una enciclopedia cattolica: “fondare nell’intelletto umano un sacro tempio il quale rappresenti ed esprima il mondo”, realizzare la “totalità e unità” del sapere conforme allo spirito del cristianesimo. Sant’Agostino e san Tommaso erano i suoi punti di riferimento e modelli da seguire, ma non solo: fu decisiva anche la scoperta di Immanuel Kant. Gli fu molto utile essenzialmente per criticare le dottrine del sensismo, contrapponendo l’empirismo sensista la teoria kantiana delle forme a priori della conoscenza.
Sul piano religioso, o, per meglio dire, “ecclesiologico” il suo trattato Le cinque piaghe della santa Chiesa, che scrisse nel 1832 e stampato nel 1848, venne perfino messo all’Indice, perché esso conteneva alcune proposte di riforma della Chiesa. Le cinque ‘piaghe’ che affliggevano la Chiesa erano: la divisione del popolo dal clero nel culto, l’insufficiente educazione del clero, la disunione dei vescovi, le interferenze del potere laico sulle nomine dei vescovi, le servitù dei beni ecclesiali (si ravvede una ripresa delle tematiche della Riforma, ma senza intenzione di rottura).
L’originalità del pensiero del Rosmini consiste nell’avere teorizzato, contro pericolose forme di ingerenza, l’esistenza di due società distinte e il più possibile autonome: la società religiosa e la società civile. L’attacco è rivolto al potere temporale e politico della Chiesa: la nuova spinta al rinnovamento sarebbe passata attraverso l’autonomia dell’istituto episcopale, non più gerarchicamente dipendente e controllato dall’autorità centrale (che il filosofo voleva soggetta a drastica riduzione di potere, nei cardinali e compreso il pontefice).
Veniva respinto anche il concetto di religione di stato: la Chiesa sarebbe stata libera e avrebbe così potuto assumere una funzione di guida ideologica e politica della società italiana.
Si interessò anche di etica, psicologia, teologia e profondo fu l’influsso esercitato su tutta l’area cattolico-liberale, in particolare su Manzoni, Gioberti e Tommaseo.
Il valore morale della persona, ossia il soggetto umano individuale comporta, secondo il Rosmini, che gli altri soggetti abbiano il dovere morale di rispettarla; e appunto di qui nasce il diritto.
Fondò due congregazioni, ma venne molto avversato all’interno stesso della Chiesa per le sue affermazioni filosofiche, ma in seguito fu riabilitato. Si ritirò a Stresa sul lago Maggiore, dove morì il 1° luglio 1855. Nel novembre 2007 è stato beatificato.
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