ANGELO BEOLCO IL RUZANTE

Angelo Beolco, padovano, nacque probabilmente nel 1496, figlio illegittimo di un medico. Ruzante in dialetto pavano (termine dialettale ormai desueto che significa padovano) è il nome del contadino protagonista delle opere teatrali del Beolco che passò a indicare l’autore stesso, che come attore ricopriva il ruolo di Ruzante sulle scene.

Nella vita di Angelo Beolco risulta importante l’amicizia  col nobile veneziano Alvise Cornaro (1475-1566), ritiratosi a Padova, dove la sua casa diventa un centro di vita culturale intensa. Era un uomo d’affari  e proprietario terriero, oltre che uomo di cultura e trovò in Beolco un uomo di fiducia come affittuario e amministratore  delle sue terre, e lo appoggiò nella sua vocazione teatrale diventando committente delle sue opere.

L’esperienza del Ruzante si incentrò così sulla conoscenza diretta, da un lato della vita dei contadini, le loro abitudini, la loro psicologia, del loro linguaggio (senza però identificarsi col mondo contadino, come invece cadde nell’equivoco la critica romantica). Dall’altro lato la sua opera riflette anche la vita di città: Padova principalmente, dove Ruzante viveva e partecipava al circolo di  casa Cornaro; ma anche Venezia, dove pure rappresentava opere proprie e di altri autori e dove riscosse  grande successo come attore, e Ferrara, dove recitò più volte e collaborò all’allestimento di feste teatrali per la corte.

Angelo Beolo detto il Ruzante, morì a Padova, nel 1542, mentre stava allestendo  per Cornaro la Canace, tragedia del letterato padovano Sperone Speroni, in cui per la prima volta avrebbe dovuto interpretare un ruolo tragico.

Le opere del Ruzante sono databili solo approssimativamente, dato che non esistono stampe contemporanee alle rappresentazioni, ma si possono individuare fasi distinte dell’evoluzione del suo teatro, a seconda dei criteri letterari e drammaturgici che lo ispirano. La prova iniziale è la Pastoral, che come la successiva Betìa è in versi, mentre tutte le restanti commedie  e i Dialoghi sono in prosa. La Pastoral innesta  per scopi comici e farseschi nell’egloga (raccolta) letteraria, rappresentata da pastori e da una ninfa che si esprimono nella lingua tutta letteraria  e idealizzata dell’arcadia bucolica, la rustica dialettalità pavana dei personaggi contadini Ruzante e Zilio e l’arguzia espressiva del bergamasco parlato dal Medico.

La Betìa del 1524-25 è una commedia tutta in pavano in cinque atti. Tratta della tradizione dei mariazzi (‘maritaggi’) che erano farse in versi di argomento matrimoniale diffuse in Veneto già nel Trecento, non popolari, ma in dialetto e ricche di doppi sensi, che inscenano una rustica cerimonia nuziale secondo rituali precisi a carattere folkloristico.

In Betìa il Ruzante ha portato questa forma teatrale alla massima espressione artistica.

Dopo quest’opera e anche grazie a questa poetica del “naturale”, Beolco approfondisce la comprensione di quel mondo , e lo saprà ritrarre anche nei suoi drammi e non più ai soli fini comici e satirici.

La seconda fase della produzione del Ruzante si può identificare  con i  Dialoghi  e con le commedie Moscheta e Fiorina, probabilmente composte tra il 1527 e 1531: opere imperniate sull’analisi delle reazioni psicologiche e sociali del contadino, che uscito da un secolare isolamento, si trova alle prese con diverse realtà come la guerra e la città.

La terza fase è quella delle commedie ‘classicheggianti’, che risente dell’influsso delle commedie letterarie, basate sulla ripresa degli schemi classici di Plauto e Terenzio, ma che l’autore sa rendere originali. Si tratta della Piovana  e della Vaccaria che sono rielaborazioni plautine (Rudens [il canapo] e dell’Asinara [la commedia degli asini].

Merita una cenno anche alle due Orazioni, anch’esse in pavano, al cardinale Marco Cornaro (1521) e al cardinale Francesco Cornaro (1528) che, in tono scherzoso, ritornano sui temi cari all’autore. Un po’ alla maniera dei prologhi delle commedie: il “naturale” e il ritratto comico  ma partecipe della vita contadina.

Piccola curiosità: Galileo Galilei apprezzava molto il Ruzante e lo citava anche nelle sue lettere.

  di Adelina Valcanover

 

 

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