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VITE DEDICATE AGLI ALTRI
13 Set 2014 12:41
In occasione della serata missionaria di ieri, nel piccolo centro montano di Giarratana, organizzata nell’ambito dei festeggiamenti di Settembre in onore di San Giuseppe, due religiose giarratanesi si raccontano.
Suor Giovanna e Suor Maria, partite entrambe nel lontano ’73, hanno intrapreso un cammino non facile, guidate dalla fede e dalla necessità di trasmettere questo dono agli altri.
“La vocazione è sempre una cosa personale” – afferma Suor Giovanna – “durante l’adolescenza ho riscoperto di essere cristiana, qualcosa che prima non avevo capito. In un momento della mia vita, aiutata anche da un film sulla vita di Padre Damiano, missionario che lavorava con i lebbrosi, i quali venivano abbandonati fuori dalle città e a cui lui, invece, ha donato tutta la sua esistenza. Questo esempio di vita per gli altri, mi ha colpito, c’è stato in me un progredire nella scoperta della fede, un tesoro stupendo, che non ho comprato, non ho fatto niente per averlo, ma che mi ha spinto ad aiutare gli altri. La Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi mi ha ispirata: ‘mi sono fatto tutto a tutti per salvare, ad ogni costo, qualcuno’, ho sentito dentro qualcosa che non potevo contenere”.
“La vocazione è un dono.” – spiega Suor Maria – “Io ricordo che una mia compagna di scuola e anche di strada, perché abitavamo vicino, era fidanzata e quasi in procinto di sposarsi, lei mi ha chiesto perché io mi facevo Suora e io le ho chiesto perché lei si stesse sposando. Anche lei ne aveva scelto uno, non tanti e così anch’io ne avevo scelto Uno! Quando ho cominciato a sentire qualcosa nel profondo, frequentavo l’Azione Cattolica e ricordo che la scoperta grande è stata la preghiera come ascolto della parola di Dio, i sacramenti e poi l’accompagnamento, perché è importantissimo sentirsi accompagnati, così come nel fidanzamento anche in una scelta vocazionale, tutto ciò mi ha portata ad una libertà interiore. Due sono i passi del Vangelo che mi hanno sempre accompagnata, quello di Luca: ‘Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto al regno di Dio’; e una lettera di San Paolo ai Corinzi: ‘Ti basta la mia grazia’.”
Due sorelle missionarie di Giarratana partite lo stesso anno, destinate allo stesso Istituto.
“Non ci conoscevamo bene§” – spiega Suor Giovanna – “e non ci frequentavamo a Giarratana, ma qualcosa ci stava legando, la scoperta di avere la stessa vocazione, Suor Maria è entrata a Marzo, io a Giugno; abbiamo fatto il cammino di formazione, la professione e la professione perpetua, tutto insieme e poi abbiamo ricevuto la destinazione per la missione lo stesso giorno, lei è partita a gennaio dell’87 e io a marzo dello stesso anno”.
Suor Maria parte per la Guinea Bissau e Suor Giovanna per Hong Kong.
“Dopo 17 anni ad Hong Kong” – racconta Suor Giovanna – “sono stata chiamata in Italia per un servizio di animazione missionaria con i giovani in Sardegna e vi sono rimasta 5 anni, poi sono tornata, ad Hong Kong e da quel momento abbiamo iniziato una presenza stabile in Cina. Quasi 5 anni, i primi due anni e mezzo in un centro che si occupa di ragazzi disabili mentali, dove, in un laboratorio, creano braccialetti, collane, rosari e borsellini, poi, altri due anni, ho lavorato in un panificio, i ragazzi un po’ più svegli aiutano a fare il pane, c’è il negozio a pianterreno e al piano superiore il laboratorio, dove si impasta, si inforna, una bellissima esperienza davvero”.
L’impatto con la cultura è stato forte, un primo e non trascurabile ostacolo è stata la lingua, non riuscire ad esprimersi, a leggere, a capire “è qualcosa che ti fa pensare davvero al senso della missione. Ti chiedi: sono qui per che cosa? Ma sai qual è il motivo e lì e la forza d’animo, conosci le tue motivazioni che vanno al di là delle difficoltà”.
“Quando siamo arrivati in Africa” – racconta Suor Maria – “di notte, non c’era luce, quindi in casa utilizzavamo le candele, il giorno dopo mi sembrava d’essere arrivata da non so quanto tempo, mi sono sentita già al mio posto e questo mi ha aiutata nelle difficoltà. Come, ad esempio, l’adattamento del fisico al clima diverso, molto umido e il corpo reagisce in tanti modi”.
“L’Africa è stato il mio posto, sono in Guinea Bissau dall’87, anch’io ho fatto 4 anni in Italia, poi sono rientrata come aiuto umanitario, essendo infermiera, nel ’98 per la guerra civile e ho avuto la possibilità di dare una mano. Là non abbiamo nessuna struttura, però riusciamo a fare un po’ di tutto, come la “promozione della donna”.
“La donna in Africa è schiava” – continua Suor Maria – “e noi cerchiamo di sensibilizzarle fin dall’adolescenza. Quando sono arrivata io, la scuola era frequentata solo dai maschi, le bambine non potevano, fortunatamente adesso,, dopo il nostro lavoro, viene frequentata anche da bambine. Istruiamo queste bambine attraverso una formazione umana che comprende dalle semplici basi pratiche dell’igiene, a come comportarsi, mentre, per gli adulti si fanno degli incontri su come accudire i bambini e anche un po’ di alfabetizzazione. Non abbiamo strutture scolastiche, quindi si va casa per casa, sono chiamate “scuole di autogestione nei villaggi”. Il responsabile è sempre “l’uomo grande”, cioè colui che comanda, si impegna con gli altri dei vari villaggi a vigilare sull’operato e sul comportamento del professore; sono autogestioni a tutti gli effetti, pagano con ciò che hanno, riso, anacardo, che vengono rivenduti e il ricavato è il piccolo sussidio per il professore, mandato dallo Stato, ma non pagato da quest’ultimo”.
“Quando si entra nei villaggi” – spiega Suor Maria – “si fa amicizia soprattutto con le famiglie, solo dopo iniziamo a spiegare un po’ di educazione sanitaria. Per i bambini, invece, abbiamo già organizzato il controllo del peso ogni mese, per monitorare la malnutrizione. Abbiamo spinto a sfruttare i prodotti locali, piuttosto che aspettare l’arrivo del cibo dagli aiuti”.
“Ci accolgono molto bene, la gente capisce il lavoro di accompagnamento che svolgiamo, perché imparare da noi li rende autonomi per il domani”.
“La Chiesa ha fatto e fa tantissimo” – conclude Suor Maria – “siamo accettati e si lavora bene”.
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