Non sa dire “minchia”: i motivi per cui i siciliani battono l’intelligenza artificiale

La rubrica dello psicologo a cura di Cesare Ammendola

Se ChatGPT incontra un siciliano, per ChatGPT è finita. IS, Intelligenza Sicula, è superiore.

Nel rapporto tra intelligenza artificiale e mente umana esiste sempre un punto cieco, un luogo dove gli algoritmi si fermano e comincia qualcosa che non può essere calcolato. Se poi quell’incontro avviene con un siciliano, magari ribollito, il confine diventa ancora più evidente. Perché la Sicilia non è solo un territorio. È un laboratorio vivente di immaginazione, creatività divergente, ironia fulminante, pensiero laterale e una certa dose di “follia” poetica che sfida i modelli statistici.

ChatGPT e le altre forme di IA generativa rappresentano una risorsa straordinaria. Offrono un supporto veloce, ordinato, affidabile nei compiti che richiedono analisi, sintesi, linguaggio. Sono uno strumento che può amplificare la mente, sostenere la produzione di idee, facilitare l’apprendimento. Per chi opera nella psicologia o nella psicoterapia, possono diventare un alleato per organizzare materiale clinico, generare ipotesi, simulare scenari, promuovere nuove forme di riflessione. L’IA è, in un certo senso, un’estensione dell’intelligenza, una protesi cognitiva che ci libera da compiti pesanti per spingerci a un pensiero più complesso.

Ma ogni vantaggio porta con sé un rischio. Il primo è la seduzione della semplificazione. L’essere umano pensa in modo ambiguo, contraddittorio, emotivamente colorato. La macchina, per quanto sofisticata, tende verso la coerenza. Una persona può vivere nello stesso istante amore e rabbia, desiderio e paura. Un algoritmo cerca sempre la probabilità più stabile. In psicologia questo è cruciale: la mente non funziona come un sistema lineare, e l’anima, intesa come profondità simbolica, immaginativa e affettiva, non si lascia ridurre in istruzioni. La mente adora le sfumature. Lo sminchiare dei paradossi.

Il confronto diventa ancora più intrigante quando si porta in scena il patrimonio immaginifico siciliano. Il siciliano tipico (che poi tipico non è mai) pensa in metafore, parla per iperboli, trasforma il quotidiano in teatro. La creatività isolana è una forma di resistenza all’omologazione, un caos fertile nato da secoli di mescolanza culturale. Qui l’immaginazione non è un lusso, ma un modo di stare al mondo. E la follia creativa, lungi dall’essere un difetto, è spesso un’intelligenza divergente che vede dove gli altri non guardano.

È proprio questo che l’IA non può replicare. Può imitare stili, combinare dati, proporre varianti, ma non può vivere l’esperienza emotiva da cui nasce un’intuizione autentica. Non può conoscere il peso di una parola dialettale detta con affetto o con rabbia, né il sottotesto di un sorriso storto che nasconde più significato di un discorso intero. L’IA non ha corpo, né storia, né appartenenza. Non conosce quella sensibilità mediterranea che danza sul confine tra tragedia e commedia. Nel crinale di un eterno metatesto. Nel precipizio alogico di uno spazio non euclideo. Pirandelliano. Non lineare. Montalbanesco.

Il limite fondamentale, quindi, non è tecnico ma umano. Rischiamo di delegare alla macchina la parte più preziosa del nostro pensiero. Se invece la usiamo come un amplificatore, come un interlocutore intelligente ma non sostitutivo, l’IA può diventare un’occasione di crescita psicologica e culturale.

In fondo, quando ChatGPT incontra un siciliano, non è “finita” perché la macchina non sa tenere il ritmo. È finita perché l’umano le ricorda ciò che non potrà mai essere programmato: l’imprevedibilità del cuore, il lampo dell’intuizione, la fantasia che esce dalle regole e crea mondi. E in questo incontro, forse, c’è la vera ricchezza: una tecnologia che stimola, una mente che inventa, e uno spirito che resta irriducibilmente libero dagli algoritmi. E sa declamare “minchia!” senza apparente motivo. Giusto per restituire in un solo istante la lurda magnificenza del creato.

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