PANE, DEBITI E VOTAZIONE

La diversità di vedute e di comportamenti politici all’interno del Pd sono oramai non frutto di previsioni, ma dati certi e non confutabili. Il dissidio fra Renzi, sindacati e quella folta rappresentanza politica parlamentare che all’interno del partito è minoranza è cronaca giornaliera che ci induce a pensare che non potrà risolversi nel corso di una riunione anche se dovesse durare non una serata intera ma un mese di continuo dibattito.

Il programma riformista di Renzi, a prescindere nel particolare della sua effettiva validità, non potrà essere approvato nell’arco dei programmati e annunciati mille giorni. Per le incisive modifiche che intende raggiungere sia per obiettive necessità domestiche che per pressioni europee dirette a salvaguardare gli investimenti e ad assicurare l’annuale e costante introito degli interessi sul debito pubblico, un governo deve poter disporre di una maggioranza certa e costantemente affidale.

In atto non è così. Le contrapposizioni sono pubbliche e tale stato di fatto avrà un’altra certa dimostrazione di instabilità nell’approvazione della legge di stabilità del 2014.

L’elettorato italiano lo scorso 25 maggio, pur non chiamato ad esprimere un voto casalingo ma solo per eleggere i parlamentari europei, dimostrò di aver fiducia nella promesse di cambiamento provenienti dal Pd e in particolare da Renzi, dandogli in prestito una quantità di volti affatto inaspettata.

La dazione in prestito può essere ritirata se l’elettorato si convince di aver investito male il suo consenso e il Pd può ritornare, come peraltro dice Renzi, attorno al 25 per cento.

Per uscire da questo stallo, visto anche che per nominare un componente della Consulta non sono ancora basate 13 votazioni, potrebbe prendere consistenza l’ipotesi di nuove elezioni e non aspettare la fine della legislatura.

Renzi, come si è detto, ha la maggioranza solo all’interno del suo partito ma non nelle camere.

Il suo programma di riforme, siano esse buone o meno buone, a questo punto necessita o dell’appoggio berlusconiano costante e continuo che, salvo per alcune ipotesi e del resto non potrebbe essere diversamente, non c’è  oppure contrattare giorno dopo giorno le votazioni con la minoranza piedellina.

Ed ancora non bisogna dimenticare o assegnare alla stessa solo una funzione di aggiustamento burocratico che ancora non si è messo mani alla riscrittura del Titolo V e della conseguente cancellazione di oltre 7000 società partecipate dalle regioni e dagli enti locali.

Le reazioni saranno vibranti e tutto questo si può fare, magari in tutto o in parte perché non si può fare di tutta l’erba un fascio, solo con un governo che ha una maggioranza forte e combatte che lo sostiene. Ecco perché non sarebbe da escludere la probabilità di una proposta per nuove elezioni in tempi ravvicinati. E’ questa, però, un’ipotesi non semplice da attuare non ostante le eventuali buone intenzioni perché c’è di mezzo una legge elettorale vigente solo in parte e la probabile proposta contraria non solo di una consistente parte politica del pd ma di organizzazioni sindacali che stanno vedendo diminuire in maniera consistente la loro collaterale incidenza politica.

Il problema è complesso. Per ora di certo ci sono il pane ritenuto sempre più caro da molti e molti poveri e il debito pubblico che continua a crescere. La votazione incontrerà molto ostacoli prima di diventare realtà e sempre, naturalmente, che le cose cambino e che non diventi quindi realtà.

 

                                                                                      Politicus

 

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