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MISERICORDIA VERITÀ CARITÀ
08 Apr 2016 17:58
Carissimi, molti di voi mi hanno chiesto il testo scritto dell’Omelia che ho tenuto a braccio per l’ordinazione episcopale di Mons. Antonio Pino Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina. Grazie al lavoro di trascrizione dalla registrazione del mio solerte segretario che ringrazio di cuore sono in grado ora di inviarvelo con “molto piacere”. Vi chiedo una preghiera speciale per la mia amata diocesi di Noto. Oggi è stata per altro una giornata intensa- di rara bellezza- per la visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: un uomo veramente speciale, ricco di umanità, molto sensibile, colto, che si è mostrato molto interessato e- come alcuni hanno scritto- è rimasto incantato dalla bellezza della nostra Cattedrale.
Un caro saluto +donTonino
“Questo è un giorno che ha fatto il Signore, perché la sua misericordia è eterna!
Nella sua eterna misericordia, Dio opera nella vita degli umani. Perciò oggi, in questo momento, la gioia traboccante che abbiamo nel cuore, non è frutto soltanto della nostra emozione, dei nostri sentimenti e dei nostri affetti: questa gioia è soprattutto un’opera del Signore nella nostra vita, radicata nel profondo dell’anima nostra, che ha occhi, che vede quanto “adesso” il Signore va facendo.
Così cari fratelli e sorelle, santo popolo di Dio, carissimi confratelli nell’Episcopato, nel Sacerdozio e nel Diaconato, godiamo della bellezza della nostra fede cattolica, perché essa annuncia la buona novella di un Dio che opera nella vita degli umani, che agisce, è presente, trasforma i cuori, dona nuova sensibilità ai corpi e lo fa toccando e lasciandosi toccare! Siamo nel Tempo pasquale, il tempo delle apparizioni. Certo, un’apparizione è qualche cosa di spirituale, ma nella fede del nostro cattolicesimo è molto di più. Oggi, viviamo tempi così infelici sul piano anche dell’approfondimento dottrinale che, smarrendoci nell’intelligenza e nel linguaggio, non riusciamo più a percepire la differenza tra “spirituale” e “sacramentale”. Oggi riconosciamo che la fede cattolica non è semplicemente un evento “spirituale”, ma qualcosa di più profondo: è un evento “sacramentale”, distinto dallo “spirituale”, perché il sacramentale fa “toccare” Dio e permette a Dio di “toccare” gli esseri umani.
Questo è il sacramento, questo è il munus sanctificandi di un Vescovo.
Carissimo e amatissimo don Pino, andrai in giro, per le strade della tua nobile e amata diocesi, a santificare il popolo di Dio attraverso i sacramenti. I sacramenti non sono delle cerimonie sacre, ma l’unico mezzo che Dio si è creato dentro la vita di noi umani, per entrare in contatto con noi. Dio, infatti, con noi non vuole entrare in contatto attraverso le nostre sublimi idee o emozioni, non vuole entrare in contatto attraverso i nostri pii sentimenti del cuore. Di più, Dio vuole toccare i nostri corpi e vuole soprattutto lasciarsi toccare, lasciarsi mangiare. Ecco il sacramento dell’Eucarestia: “Questo è il mio Corpo”, il Corpo di un Dio che ha lasciato l’invisibilità della sua celestiale beatitudine, per entrare nella carne degli umani e farsi uomo, assumendo la forma di servo e lasciandosi addirittura mangiare dagli esseri umani, dai cristiani che avendo ricevuto lo Spirito Santo, sono come abilitati a tale banchetto, così evidente, così corposo.
“Tocca!, Tommaso”, dice il Signore risorto. E a Pietro portavano gli ammalati affinchè li toccasse. Perché se non tocchi non guarisci; se non sei toccato, non sei liberato. Se non entri in rapporto con il corpo, se non abbracci e non ti fai abbracciare, rischi di andare dietro alle illusioni della tua mente e alle illusioni “spirituali” di tanti “spiriti” che circolano, potenze dell’aria, della terra e di sotto terra.
Il sacramento dell’amore ha un corpo, per cui Dio non è più un’idea dell’assoluto che avvolge il mondo. Dio è una persona che ha carne, l’amore eterno di Dio adesso è corpo e in Gesù è stabilito che tra gli umani non c’è possibilità di amarsi e di vivere l’amore, se non attraverso i corpi! Senza corpi, senza carne, niente amore! Da secoli la Chiesa Cattolica ha certi sospetti sull’amore cosiddetto puro, così spirituale, da essere puro.
E, così, cosa potrà capitare a te, don Pino, oggi, in quest’opera che Dio sta facendo? Non lo vedi? La visione è stata proclamata come Parola del Signore. Non lo vedi? Si, tu lo vedi il Signore: è entrato nella tua vita il giorno del tuo Battesimo, si è sigillato come Spirito Santo il giorno della tua Cresima, ti ha costituito guida, pastore di una comunità parrocchiale quando sei diventato sacerdote e, adesso, ti dona un popolo, il popolo di Dio, la diocesi che è un corpo, la Chiesa come corpo, il Corpo dell’amore, perché Dio lascia l’invisibilità e, forse, diciamolo pure, abbandona l’astrattezza con cui noi lo concepiamo, diventando amore che ha corpo.
La visione è quella che è stata annunciata: “tu lo vedi e cadi a terra come morto”, disarcionato da cavallo, come San Paolo, da te tanto amato nella comunità parrocchiale a Lui dedicata e da te guidata in questi anni. Cosa hai da presentare al Signore tuo Dio, adesso che vuole fare nuove cose con te e ti vuole “ricreare” ancora da capo. Che cosa puoi presentare? La grandezza della tua attività pastorale nella parrocchia di San Paolo? Certo, la si riconosce. Tuttavia, rispetto al dono che ricevi, c’è sempre una grande sproporzione: effettivamente la Grazia che ci viene data è discontinua, sproporzionata, immensa, rispetto a quello che nella nostra umiltà di poveri esseri umani, con le nostre debolezze, le nostre precarietà, i nostri peccati, possiamo presentare davanti al Signore. Perciò è vero: cadi a terra come morto e il Signore viene con la sua destra, ti tocca e ti dice: “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi” (Ap 1,17-18) e, quindi, tu puoi risorgere e non disperare mai. Non temere niente e nessuno, perché chi ti può separare dall’amore di Dio? Né la persecuzione, né il pericolo, né la spada, né la nudità, nemmeno il peccato! (cfr Rm 8,35-37). Perché, possiamo ribadirlo – nell’anno della Misericordia – “se il tuo cuore fosse rosso come scarlatto per i tuoi peccati”, qui c’è un braciere ardente, come dice Santa Teresina, quello della misericordia di Dio e i tuoi peccati sono come goccia d’acqua che evapora in questo braciere!
Questa grazia della misericordia di Dio non accade sempre solo “dopo”; accade sempre, ogni volta, anche prima! Perché c’è sempre un Padre che attende il figlio che ritorna, ed è l’attesa del Padre quella misericordia “preveniente” che ti consentirà di essere buono nella vita della Chiesa, che ti preserverà dagli scandali che rendono la Chiesa Cattolica sempre meno credibile e ti preserverà da tanta barbarie che degrada la nostra bella umanità e anche, spesso, la nostra Chiesa.
Come spesso cantilliamo: “Dov’è carità e amore, lì c’è Dio” ve la ricordate? Cantilliamo insieme, come popolo: “Dov’è carità e amore, lì c’è Dio”. Però, diciamo pure, che è vero il contrario: “dove non c’è carità e amore, Dio non c’è!”. Ci possono essere le immagini sacre delle Madonne e dei santi, ci possono essere i Vescovi vestiti con le mitrie e i pastorali, ma non esserci Dio! Perché il nostro Dio è amore e perché questo si capisse ecco che Gesù si è “creato” il Sacramento, perché nessuno si inventasse l’amore; ecco perché abbiamo il Sacramento dell’Eucarestia, perché sull’amore che è la cosa più importante della nostra vita, nessuno dicesse: “secondo me l’amore è questo”, l’amore “secondo noi”, l’amore di “tutti i colori”. No! L’amore può avere tutti i colori del mondo, ma una sola forma, quella che il Sacramento gli ha dato, la forma del Crocifisso di Dio, che spinge il dono della vita fino a morire per tutti!
Questo, carissimo don Pino, appartiene obiettivamente al munus docendi di un Vescovo, perché un Vescovo deve insegnare e l’insegnamento è sempre quello di Gesù. L’insegnamento della dottrina non è un corso di teologia; l’insegnamento è proprio questa dottrina che è la vita della Chiesa, venuta fuori dal sangue dei martiri. Perché questa dottrina si costituisse, infatti, gli apostoli e tanti vescovi hanno effuso il loro sangue, sono stati esiliati, perché si sapesse che Dio è così, che il crocifisso di Dio è la manifestazione di quell’amore dato a tutti, non soltanto agli innocenti, ma anche ai colpevoli. Qui sta la grande misericordia di Gesù che sulla croce dice: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
Allora riusciamo a distinguere, cari fratelli e sorelle, nell’Anno della Misericordia, tra “misericordia” e “misericordismo”. E’ una “brutta” parola, ma “misericordismo” è di coloro che pensano che per il fatto di esserci tantissime Porte Sante diffuse ovunque – di poter entrare e uscire da queste Porte-, si riceva automaticamente la misericordia di Dio. Mentre, Gesù ha dichiarato solennemente – dopo aver pregato il Padre nostro- che “se non perdoniamo i fratelli di cuore, nemmeno il Padre nostro celeste perdonerà a noi”: chi non vuole perdonare il fratello è un religioso (perché prega), ma è un non credente (perché non fa la volontà di Dio che vuole che tuti noi ci amiamo).
Carissimo don Pino c’è una differenza profonda tra l’esperienza cristiana e l’esperienza di tutte le altre divinità che sono dette “misericordiose”. E la differenza è questa: che, con Gesù, Dio è solo misericordia, è sempre misericordia, non è più “lento all’ira e grande nell’amore” (Sal 102,8), ma solo grande nell’amore. Dio, in Gesù, non si vuole più adirare, e agli uomini che gli danno la morte, Lui dona il perdono e la vita e, così, stabilisce la giustizia per sempre, perché la giustizia vera tra gli esseri umani è quella istituita dalla misericordia di Dio. La giustizia è dare “a ciascuno il suo”, ma per Gesù questo “suo” del peccatore, non è la vendetta, ma il perdono, la misericordia.
Il quarto Sacramento della Chiesa Cattolica resta tutto, anche se i confessionali sono vuoti, nessun prete ci si mette più dentro e i fedeli non vanno più, perché a quanto pare in questa società dell’“ipermercato” e super globalizzata, non esistono peccati, al massimo si possono riconoscere errori; ma il quarto Sacramento resta tutto, perché lì è il corpo, lì tocchi e lì sei toccato, lì Dio ti abbraccia e ti riconcilia.
Il quarto Sacramento resta tutto, “a chi non rimetterete i peccati resteranno non rimessi” (Gv 20,23). Perché Dio non li perdona?
Carissimi, Dio nostro Padre, ricco di misericordia, sempre e solo misericordia, ha già perdonato tutti i peccati del mondo, quelli del passato, quelli del presente e tutti quelli del futuro. La sua misericordia è come pioggia abbondante che scende dall’alto e tutti quelli che si mettono sotto questa pioggia e si lasciano penetrare dall’acqua, sono perdonati. Ma se te ne vai sotto questa pioggia “impermeabilizzato”, impedisci anche ad una goccia d’acqua di entrare nella tua vita. Allora, come è possibile che puoi pensare di ricevere il perdono? Non perché Dio non ti perdona, ma perché ti chiudi alla sua misericordia, ti “impermeabilizzi” al dono della Grazia e nella tua vita non entra questa pioggia di perdono.
Munus sanctificandi, munus docendi: che grande responsabilità! Che grande croce, caro don Pino, ricevi adesso dal Signore: una bellissima diocesi, una sposa! Prendi la tua croce e resta su questa croce e non dare adito a chi ti dirà di lasciare perdere, di essere accomodante, di scendere da questa croce! Adesso tu sei dentro la Tradizione Apostolica, tu che come Vescovo “non sei successore dei Faraoni”, ma degli Apostoli, assumerai questa croce.
La prima grande croce che produce una sofferenza amara, ma che dispone anche alla resurrezione, è quella di vedere nella tua diocesi il popolo di Dio disperso, i giovani che non vengono più nelle chiese e che ci hanno abbandonato (ma che forse siamo stati noi anzitutto ad abbandonare), perché non comprendiamo più il loro linguaggio, non capiamo più i sentimenti del loro cuore, non riusciamo più ad interpretare anche la loro sensualità, non riusciamo più a dare orientamenti, senza considerare che talvolta riusciamo a offrire anche grandi scandali.
Che sofferenza per un pastore, vedere che le proprie chiese splendide, monumentali, barocche, sono riempite da chi ancora resiste nei volti degli anziani, che ringraziamo, perché almeno loro ci sono: mentre i giovani non ci sono e ci criticano. Questi giovani, citando la canzone di Francesco Gabbani – che ha vinto la sezione giovani dell’ultimo Festival di Sanremo – chiamano i cattolici di oggi “astemi in coma etilico per l’infelicità, la Messa ormai è finita, amici andate in pace. È cala il vento nessun dissenso di nuovo tutto tace! E allora avanti popolo che spera nei miracoli elaboriamo il lutto con un Amen”
C’è un lutto che si vive dentro la vita degli umani oggi e noi non possiamo elaborarlo con un amen della bocca, perché il nostro amen è dire di sì al Corpo del Signore, immergerci dentro di Lui! Amen vuol dire “ci credo Signore, voglio vivere la tua passione!”. Amen non è una preghiera delle labbra, perché Gesù ci ammonisce: “Non chiunque mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
E allora dobbiamo lavorare per “quelli di fuori”? Forse “quelli di fuori”, i cosiddetti “lontani”, sono molto più vicini a noi di quanto non concepiamo. Dobbiamo lavorare insieme per dare nuova credibilità alla nostra esperienza cristiana! Che la fede in Gesù e nel suo Corpo morto e risorto, ritorni a splendere bella, luminosa, dentro anche le manifestazioni religiose, che non possono però scadere ad un folklore, talvolta espressione soltanto di un’identità culturale e magari… come si aspira “patrimonio dell’Unesco”. Ma, qual è il contenuto? Quale è la verità del nostro cristianesimo? Dove la vedi nelle nostre feste religiose la diffusione e la pratica dell’amore, la vicinanza e la solidarietà ai più poveri? Dove la vedi questa Chiesa, come dice papa Francesco, povera per i poveri, dentro lo spreco del denaro pubblico in fumo, per manifestazioni religiose che non so quanto parlino del Corpo di nostro Signore Gesù Cristo? Dov’è il sangue di questo amore corposo che diventa vicinanza ai fratelli offesi dalla malattia, soli, schiantati a un letto per certe malattie radicali, che attendono nella solitudine un gesto d’amore che, come acqua, può diventare un momento di benedizione? “Risolverò magari poco o niente, ma ci sarò e questo è l’importante, acqua sarò, che spegnerà un momento, accanto a te, viaggiando contro vento” (Arisa, in Controvento). E sì, perché il vento spinge verso l’individualismo, l’egoismo, il vento spinge verso il mio interesse, l’accumulo delle mie risorse, dei miei capitali, riducendo anche la ricchezza nobile della Chiesa Cattolica talvolta in denaro sporco! Papa Francesco dice che il denaro sporco va rifiutato, ma anche le offerte pulite vanno rispettate: le offerte pulite all’interno della Chiesa vanno donate ai poveri, vanno per la solidarietà per i più sofferenti, non vanno utilizzati per i propri interessi o tornaconti.
Caro don Pino, tendo a concludere, dicendo qualcosa sul terzo Munus di un vescovo, il Munus regendi. Sostanzialmente, cari fratelli e sorelle, si dice che i Vescovi sono in una diocesi “capi” e devono governare. Noi sappiamo che il potere nella Chiesa è quello di cui parla Gesù, un potere di servizio. Il tuo primo grande servizio, carissimo don Pino, che è la tua più grande croce, è servire la comunione del Presbiterio! Io ti auguro che i tuoi presbiteri vivano una vera, forte e potente comunione con te e ti obbediscano. Per questo vorrei ora, rivolgendomi ai presbiteri della diocesi di Matera-Irsina, comunicarvi una mia esperienza personale, come una testimonianza che voglio offrire del vostro Vescovo, che ha vissuto 30 anni nella parrocchia di San Paolo, creandola, potremmo dire, dal nulla. C’era uno scantinato e l’ha trasformato in una comunità bellissima, gioiosa, con un’animazione pastorale dove ci sono gruppi, movimenti, attività di carità bella e operosa, da esserne veramente orgogliosi. La tua vita, carissimo don Pino, non poteva essere per sempre legata a questa comunità. Quando nella sua lungimiranza pastorale, l’amato nostro Arcivescovo don Mimì, ha pensato di trasferirti in Cattedrale, ricordo che tu hai aperto il tuo cuore e mi hai confidato certe tue sofferenze, per la difficoltà di questo trasferimento repentino. Ecco, io posso testimoniare di aver gioito nel considerare che tuttavia non c’era per te nessun dubbio di dover obbedire al tuo Vescovo, che ti diceva di andare da San Paolo in un’altra parrocchia! E allora io dico ai tuoi presbiteri: “obbedite al vostro Vescovo, perché egli non ha solo l’autorità, ma ha anche l’autorevolezza di governare, di orientare e di chiedere la vostra obbedienza, perché lui è stato un prete obbediente”.
Il Signore ti conceda la grazia di presbiteri obbedienti che puoi mandare nel popolo santo di Dio e conceda anche la grazia che questo popolo santo di Dio cammini con te: tu sarai l’immagine del Bel Pastore, un pastore che sta davanti al gregge, che se ne assume la responsabilità, che attraversa per primo il campo minato del mondo di oggi, che lascia le tracce profonde del suo passaggio, sicché ogni pecora, vedendo le tracce lasciate dal pastore, può mettere i propri piedi sulle stesse tracce.
Adesso “cadrai a terra” e avrai una nuova visione, la visione di un Dio che ti risuscita di continuo da ogni morte e tu lo riconoscerai, non nel frastuono, ma nella brezza leggera. Potrai toccarlo e verrai toccato. L’olio del Crisma ti ungerà il capo come un tempo ti ha unto le mani e, in questo toccare, tu farai esperienza della potenza dell’amore di Dio e gli dirai il motivo per cui sei qui: “Signore io sono qui perché lo zelo per la tua causa mi divora; Signore io sono qui perché voglio essere totalmente tuo ed essendo totalmente tuo, pur dentro le mie debolezze, le mie banalità, i miei limiti umani, tu possa fare di me uno strumento della tua amicizia nel mondo, della tua ri-creazione di cieli e terra nuovi”. Come Tommaso ti metterai ai piedi del Signore e gli dirai “Signore mio e mio Dio”. Riconoscerai la sua regalità! Sì, riconoscerai la sua regalità, la regalità del Crocifisso! Lì, la riconosci la regalità, nel fatto che Egli si è donato tutto, affidandosi nelle mani del Padre per i fratelli, morto in croce per noi!
Qui riconoscerai la sua regalità, nel fatto che veramente Lui vuole entrare come amore corporeo dentro la vita di tutti, attraverso il perdono e la misericordia e tu gli dirai: “Tu Signore crocifisso sei il mio re, tu sei re della mia vita, del mio cuore, della mia coscienza, dei miei sentimenti, delle mie parole, delle mie labbra, di tutto quello che io sono, tu sei veramente il re della mia esistenza” e lo dirai dal profondo della tua anima, dal profondo del tuo cuore. “Tu sei re, tu sei re, sei re Gesù!” “Tu sei re, tu sei re, sei re Gesù!”, “Tu sei re, tu sei re, sei re Gesù!”.
[1]Omelia “tenuta a braccio” da Mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto per l’Ordinazione Episcopale di Mons. Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina il 2 Aprile 2016. Trascritta da registrazione e rivista dall’autore, mantiene il carattere del parlato.
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