L’amore attento è più forte di un tentativo di rapimento

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Il tentato rapimento di un neonato. In pieno giorno. In pieno centro. Nella mia città. Un incubo alla luce del sole. Impensabile. La notizia è di questi giorni. È salita alla ribalta di alcune testate nazionali. Non a caso. Ha acceso inevitabilmente angosce ataviche, profonde, silenti o sopite. 

Squarciando l’ordinaria serenità del giorno, in una sequenza agghiacciante, un giovane uomo di origini guineane si è avvicinato all’improvviso e, senza ragione apparente, ha tentato di strappare un neonato alle braccia della mamma, mentre il padre spingeva il passeggino con l’altra figlia di soli tre anni. 

La resistenza materna e la pronta risposta del papà (ma anche il soccorso dei passanti e, a seguire, di due poliziotti) hanno saputo scongiurare potentemente il dramma. La forza della presenza, la reattività vigile di chi si prende cura, la solidarietà tempestiva della rete sociale hanno il potere di proteggere i più piccoli e indifesi dal pericolo più illeggibile. 

Il piccolo e la mamma stanno bene. E adesso noi con loro. Ma l’immaginario di molti è stato come scosso da un artiglio improvviso e gelido. Non senza sgomento.

I Carabinieri hanno preso presto in custodia il ragazzo che rimane ora in carcere. Il giovane si è avvalso della facoltà di non rispondere. Sono tuttora avvolte nel mistero le motivazioni che lo hanno indotto a tentare un gesto così plateale e violento. Tanto più che egli risulta essere incensurato e, non avendo palesato segnali di squilibrio, non era mai stato preso in carico dal Dipartimento di Salute Mentale. 

Ma le informazioni che abbiamo forse non dicono nulla di definitivo (innumerevoli i casi pregressi in cui l’imprevedibile assume solo col senno di poi una costellazione di significati). 

I processi si fanno solo in Tribunale e le indagini spettano solo agli inquirenti titolati a condurle. 

Qui e ora vorrei solo spendere due parole sul tema della più grande paura per ogni genitore (una paura più diffusa di ciò che possa sembrare): perdere le tracce dei propri figli (bambini e preadolescenti) o, peggio, temere che scompaiano o vengano rapiti. E soprattutto vorrei, se lecito, dire una cosa a un tempo semplice e ovvia: credo che possa essere efficace coniugare un atteggiamento vigile a uno stile che non risulti iperprotettivo o asfissiante. La vera sfida consiste forse nel creare un approccio alla quotidianità e alla relazione prudente, obiettivo (immune da superficialità, spavalderia intesi a minimizzare i rischi), contrastando nondimeno “fantasie catastrofiche”, “ansie invalidanti” e “paranoie”. La paura non deve accecarci e destabilizzarci. Non deve ottundere le nostre abilità cognitive. È bene mantenerle salde. Possono tornarci utili in ogni circostanza.

Molti fatti di cronaca ci scaraventano addosso una situazione di allerta quando i bambini sono piccoli e si trovano in luoghi pubblici (o molto frequentati). Talvolta i rapitori sono persone che hanno una visione distorta della realtà. Ma in altri casi sono lucidi e animati da secondi fini ben precisi tra i più riprovevoli. A volte si tratta di persone già seguite dalle Forze dell’Ordine. A volte si tratta di persone insospettabili nelle sembianze e nei modi. 

I tentati rapimenti non sono frequenti. È utile comunque sensibilizzare le famiglie a rimanere vigili. È funzionale fare rete insieme agli altri genitori. Guardiamo i bambini a vicenda. Avvisiamoci reciprocamente se notiamo qualcuno o qualcosa di sospetto (a volte è meglio preoccuparsi di più che sottovalutare e sminuire).  

È importante insegnare ai figli come chiedere aiuto. Dove e da chi andare, in caso si perdessero, cosa fare, qualora non dovessero trovarci. E quando un bambino sparisce è fondamentale chiamare immediatamente il 112 (le prime ore sono cruciali), descrivendo nei dettagli aspetto e abbigliamento del piccolo.

L’episodio di questi giorni ci dice che la prontezza di un sentimento e la solidarietà umana sono gli antidoti ideali contro il male nelle strade del mondo. I bambini piccoli non sono in grado ancora di esprimersi, di difendersi. Questo è il dilemma sensibile. 

Uno delle paure più ricorrenti è quella di perdere i bambini in spiaggia. Perdiamo di vista nostro figlio o nostra figlia, terrorizzati nel panico non li vediamo e sentiamo per tre minuti che sembrano infiniti. Ci voltiamo e realizziamo che non è a mare, non è in mano a degli estranei, non è in un altro continente. È dietro di noi, assorto da un castello di sabbia, tra secchiello e paletta, sotto il nostro naso e sotto il nostro ombrellone. A un passo appena da un capolavoro. La sua opera d’arte.

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