LA TRAGEDIA DEL SANGUE VERSATO SULLE PIETRE DI CONTRADA RINAZZO NEL MAGGIO DEL 1962

Le ferite provocate dalla tragedia che si verificò a contrada Rinazzo a Ragusa, sono ancora vivide. Il giornalista-storico Saro Distefano racconta, insieme ad alcuni ospiti che sono stati direttamente e quasi direttamente interessati dalla triste vicenda, Giuseppe Iacono (sopravvissuto alla tragedia dove perse il padre), e Gianni Iurato che perse il nonno. Si tratta quindi di conoscere la nostra storia, che è fatta di uomini, i quali hanno dato gloria a Ragusa, permettendo di asfaltare tutto il mondo (Parigi, Londra, Stati Uniti..),  ma il prezzo da loro pagato, è stato proprio con il loro sangue.

Tutti, dice Saro Distefano, avevano in famiglia qualche parente lavoratore nelle miniere; chi era “Picialuoro”, chi “Pirriaturi”, chi svolgeva lavori complementari, come i carrettieri, i falegnami, elettricisti e tanti altri mestieri, e poi c’erano anche i bambini. Il lavoro dei bambini consisteva nel portare l’acqua, spingere i vagoncini e infine ripulire gli strumenti utilizzati dai lavoratori della miniera. Prima degli anni settanta, sicuramente poter lavorare in miniera era considerato un privilegio, relativamente alla macro economia dovuta al colonialismo; infatti il lavoratore della miniera riceveva un compenso pari al doppio del bracciante agricolo. Quindi tutti volevano lavorare la “pece”! Ma nella miniera non si lavorava tutti i giorni dell’anno, solo quando il caporale lo decideva; la metodologia della scelta del lavoratore, era quella del giudicare con il parametro della simpatia/antipatia, oppure, e di questo ne esistono le prove, c’era un caporale catanese che faceva lavorare se il  “Picialuoro” dava la disponibilità del “caffè”, per intenderci i single che non avevano figlie femmine lavoravano meno di chi invece ne aveva. Negli anni venti e trenta, come descrive il poeta Giovanni Antonio Di Giacomo, detto Vannantò, che aveva padre e fratello “Picialuoro”, usando una “miniminagghia” ragusana “O scuru vaiu o scuru viegnu o scuru fazzu u santu viagghiu”, che veniva utilizzata per descrivere l’aratro, il quale fa un santo viaggio sempre al buio, si riferì al lavoro altrettanto sacro, dei “Picialuori”; infatti questi, iniziavano la loro giornata lavorativa dentro le gallerie delle miniere prima del sorgere del sole, e dopo il tramonto del sole.

La testimonianza di Giuseppe Iacono, che si trovava a contrada Rinazzo insieme al padre e al carrettiere, per prelevare materiale da costruzione è stata molto commovente: < Prima del crollo mi accorsi che un muro di pietra a secco cominciava a crollare, e per paura gridai molto forte, con la speranza che mio padre e il carrettiere, e gli altri due si potessero salvare, ma così non fu; la timpa è scivolata e ha riempito tutto il vuoto sottostante>. La causa di questo crollo non è mai stata certa, ma si ipotizzò che il crollo fosse stato dovuto al “pilu”; da noi la roccia è calcarea, di diverso tipo (dura, tenera e bituminosa o pece). A volte, l’unione tra un filone di pietra “viva” con quella “morta”, determinando disomogeneità, con la presenza della patina oleosa del liquido bituminoso, può provocare un crollo. I soccorsi e la solidarietà di Ragusa furono immediati, e Gianni Iurato, racconta cosa successe a partire dal giorno dopo della tragedia: <Il giorno dopo, la procura apri un’inchiesta da parte della magistratura e dell’ente minerario; i corpi furono trasportati dai vigili del fuoco nella camera mortuaria del cimitero di Ragusa, dove i “pirriaturi” ripulirono i corpi dei loro compagni, per farli vedere alle famiglie. Il comune deliberò per ogni operaio morto, la somma di 225 mila lire, 50 mila lire per ogni famiglia, (per mio nonno versarono 75 mila lire, perché morì il cavallo e il carretto si distrusse). Al sindaco Pisana i “pirriaturi”, consegnarono la somma da loro raccolta di 280 mila lire, il Commendatore Angelo Sgarioto contribuì con 100 mila lire. Mio padre mi raccontò di questo avvenimento ricordando un particolare, cioè come i “carretteri” della società vicino piazza san Giovanni, durante quei tragici momenti, accorsero verso contrada Rinazzi; lì tutti, compresi operai della miniera, cittadini e vigili del fuoco, scavarono con le mani. Voglio precisare che i morti furono 5, cioè 4 persone morirono durante il crollo, mentre l’operaio che sopravvisse alla tragedia vedendo i compagni morire, si suicidò qualche mese dopo>.

<Nel programma di “Camarina sotto le stelle”-dice il Direttore del Museo Regionale di Camarina, Prof. Giovanni Distefano- non poteva certo mancare l’appuntamento con Saro Distefano. Il nostro museo deve essere una realtà che deve vivere e produrre momenti di alta cultura, ed ecco perché oltre ad attuare la promozione lo studio e la tutela del patrimonio archeologico, come per esempio il sarcofago di Copenaghen unico esempio di raffigurazione di un uomo in mare, che evoca i naufragi, ci attiviamo a creare gli eventi di “Camarina sotto le stelle”. Anche i greci furono attratti dall’oro nero, infatti, dopo il 733 ac i greci, come gli americani nella seconda guerra mondiale, cercarono di dominare le ricchezze del territorio; su tutto il dorsale dell’Irminio, dai ritrovamenti archeologici, sono stati scoperti dei vani in cui erano presenti delle asce, e veniva utilizzato l’asfalto come combustibile. Una ricchezza che anche nel mondo antico era stata sfruttata>.

Si conclude la serata con una degustazione fornita dalla Cooperativa sociale “Sprigioniamo sapori”, che fa preparare dolci tipici agli ospiti del carcere ibleo.

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