I PERSONAGGI FEMMINILI NELLE OPERE DI GIOVANNI VERGA : DONNE FATALI E UMILI POPOLANE.

Molto numerosi sono i romanzi ,le novelle e ,quindi, i personaggi di questo nostro grande conterraneo.

Indubbiamente un cenno meritano le protagoniste dei romanzi giovanili ,anche se a noi interessa molto di più il Verga verista.

Eva, Tigre reale, Una peccatrice, la protagonista di Eros sono donne fatali, ben lontane dalle creature semplici che incontriamo  in “Nedda”, “Vita dei campi”, “Novelle rusticane” e ne “I Malavoglia”.

La  distanza tra i personaggi dei romanzi giovanili e quelli della fase verista è sintetizzata benissimo dallo stesso Verga nel racconto dal titolo “Fantasticheria”:

Una donna di alta condizione sociale, dai gusti raffinati giunge ad Acitrezza. Dice di volersi fermare un mese e ci resiste due giorni appena esclamando: “Non  capisco come si possa vivere qui tutta la vita.”

E il Verga contrappone la vita fatta di capricci e leggerezze della gentildonna (che gli studiosi indicano con tanto di nome e cognome) con la dura vita dei pescatori e delle loro donne che lei incontra e che saranno gli stessi protagonisti de “I Malavoglia”.

Tra questi Maruzza, detta la Longa, pur essendo “piccina”, la madre, Mena e Lia  le figlie, ”.

Donne che non aspirano a nulla di eccezionale, abituate ad una vita operosa e frugale, vittime di un destino tragico.

La morte di Bastianazzo, il padre, in un naufragio, è la prima sciagura che colpisce la famiglia non solo negli affetti ma anche nelle risorse economiche (la barca ,la casa, le braccia che lavorano).

Segue la morte del secondogenito, Luca, nella battaglia di Lissa.

La famiglia, pur profondamente provata negli affetti e afflitta da debiti, mantiene ancora intatto il patrimonio dell’onore ma le inquietudini del primogenito, ‘Ntoni, la colpiranno anche in questo.

‘Ntoni non ama il duro lavoro dei pescatori e si dà al contrabbando, sorpreso dalle guardie dà una coltellata al brigadiere,ferendolo.

Per lui c’è il carcere, per la famiglia il disonore, anche perché l’avvocato, per difenderlo, dirà che la coltellata è stata causata dal fatto che il brigadiere amoreggiava con Lia, la sorella minore.

La dura legge del disonore colpisce in quel tempo e in quell’ambiente soprattutto le donne. A Lia non resta che fuggire e perdersi, e Mena,la sorella maggiore, dovrà rinunciare, pur non avendo alcuna colpa, a sposarsi perché anche l’uomo che ne è innamorato riconosce che “ la gente parlerebbe…”

I personaggi femminili del “Mastro don Gesualdo”:Bianca Trao,  Isabella Motta, sono di condizione sociale diversa e più complessi.

Solo l’umile serva, Diodata, è assimilabile alle protagoniste de “ I Malavolglia” e delle due raccolte di novelle siciliane.

Bianca Trao è una nobile decaduta che non ha diritto di sposare il cugino che ama e da cui aspetta un figlio perché è povera e la mancata suocera, la Baronessa Rubiera, ha ben altre aspirazioni per il debole e irresoluto figlio.

A salvarla dal disonore ma non dall’infelicità intervengono le trame del Canonico Lupi e le ambizioni di un muratore arricchito che  vuole mettersi alla pari coi signori di Vizzini, Gesualdo Motta.

Bianca sposa Gesualdo ma non lo ama e non riesce a fingere amore.

La loro convivenza sarà segnata da delusioni e amarezze, sin dal matrimonio a cui le famiglie più in vista del paese non parteciperanno.

Bianca in un mondo di sciacalli qual è quello in cui si muove Gesualdo è, comunque, rispettosa del marito e cerca di metterlo in guardia, ma non gli rivelerà mai che Isabella non è sua figlia.

Quest’ultima creatura intriga Verga più di altri suoi personaggi femminili, al punto che progetta di dedicarle il terzo romanzo del ciclo dei “vinti”, “La Duchessa di Leyra”, del quale, però, scrisse solo il primo capitolo.

Isabella ,pur credendosi figlia di Gesualdo, ha come una ripulsa per quel padre plebeo, per il nome Motta, a cui preferisce quello materno dei Trao.

Le pagine che la ritraggono adolescente inquieta in collegio richiamano molto quelle dedicate a Gertrude dal Manzoni, ancor più del romanzo giovanile “Storia di una capinera”.

E’ noto, comunque, che la stesura del Mastro don Gesualdo risente molto del modello manzoniano. E’ stato notato, per esempio che la notte dell’incendio in casa Trao, mentre Bianca si intrattiene col cugino Rubiera,fa pensare alla “notte degli imbrogli” dei “Promessi sposi”.

Isabella, come la madre,non potrà sposare l’uomo che ama, questa volta perché  è lui ad essere povero.

La roba domina  e condiziona la vita  di molti personaggi verghiani!

Sposerà un duca che si incaricherà di dilapidare il patrimonio accumulato con tanti sacrifici dal suocero.

Di grande umanità e realismo la pagina in cui, Gesualdo oramai vecchio e malato, vorrebbe che la figlia si aprisse con lui,  raccontandogli il perché di quel pallore, di quella ruga tra le ciglia, di quel qualcosa negli occhi, ma non riesce a prenderla tra le braccia e chiederle piano in un orecchio: “Cos’hai? …dimmelo!….Confidati a me che dei guai ne ho passati tanti e non posso tradirti!..” perché lei sta chiusa, ”ritirando le corna come una lumaca,… perché ha lo stomaco peloso dei Trao, che vi chiudevano il rancore e la diffidenza, implacabili!”

Diodata è l’unico personaggio del Romanzo che ami veramente don Gesualdo, ma non può assolutamente aspirare a divenirne la moglie, anche se ha avuto due figli da lui.

Deve essergli grata se provvede a maritarla per il bene suo e dei figli.

Ma lei non chiede nulla ,come un cane fedele se ne sta ai piedi del padrone attendendone gli ordini.

Due belle pagine il Verga dedica a questa creatura : quella in cui Gesualdo la raggiunge dopo una giornata di fatica e le annunzia il suo matrimonio e quella in cui vecchio e malato, oramai vedovo, sta per partire da Vizzini e l’unica a salutarlo è proprio lei, Diodata, il cui nome già dice tutto.

Questo personaggio, come tanti altri degli scrittori veristi,è ispirato alla realtà.

Pare che proprio Luigi Capuana, grandissimo amico di Verga, tenesse con sé una specie di Diodata prima di sposare Adelaide Bernardini, la donna che ispirò a Pirandello il personaggio di Ersilia Drei di “Vestire gli ignudi”

A conclusione di queste brevi note sui personaggi femminili verghiani, mi sembra interessante citare un brano di un articolo di Vincenzo Consolo :

“….di vinte ,prima ancora che di vinti, è il mondo verghiano (….) sa lo scrittore (…) che il ruolo ultimo è della donna in quel mondo chiuso, eternamente immobile, fuori da ogni riscatto storico (…) quando poi essa vuole uscire da quel cerchio di condanna, quando rompe con la legge dei costumi e le regole della società (…)come accade alla Lupa o a L’amante di Gramigna è relegata ai margini (…) paga il suo gesto con la morte o con l’esilio o con l’essere rinchiusa nella cella delle monache pazze, come Maria e la vecchia monaca de “La Capinera”.

Un mondo senza luce, senza speranza quello femminile del Verga,una notte di neri scialli, dove non appare una stella, una leopardiana luna di conforto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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