DOMENICA AL GARIBALDI DI MODICA IL TIMBALLO DEL GATTOPARDO

A Modica domenica 10 aprile la prima serata al teatro Garibaldi della replica del lavoro Il Timballo del Gattopardo, andato in scena a TAOARTE questa estate. Scritto da Rosario Galli, interpretato da Carlo Cartier e Carmelo Chiaramonte per la scenografia di Antonello Geleng, regia di Giancarlo Sammartano. La storia è semplice: l’intreccio è efficace. Una tavola elegantemente apparecchiata per 12 persone: è il banchetto funebre in onore della “Baronessa”. Saro, uno chef di grande fama, ha accettato di preparare personalmente il menù per questa particolare occasione; dodici portate, dodici piatti diversi, dodici antipasti, dodici primi, dodici secondi, dodici dolci. Non ci sono camerieri a servire perché Saro non vuole estranei in quel salone, per lui così caro e gravido di ricordi; sarà lui stesso a riempire la lunga tavola con le diverse portate.

Al centro un posto apparecchiato con piatti, posate, bicchieri particolari, diversi dagli altri; anche la sedia è unica, sembra un trono imbottito di velluto rosso e trapuntato d’oro. Saro ha convinto il suo amico e socio Carmelo a seguirlo in questa serata particolare; pur riluttante Carmelo si è convinto e così i due sono all’opera. Coniugare letteratura e gastronomia. Trovata semplice ma d’effetto. Far muovere sulla scena almeno due esponenti Modicani che spiccano in settori del tutto diversi  tra loro ma non antitetici. Quello dell’arte culinaria e quello dell’arte della recitazione. Entrambi ad alti livelli. Due esponenti non  in un confronto ma piuttosto in un’ alleanza con un solo scopo: divertire e lasciare una riflessione. Ma sulla scena insieme a loro si muovono dietro le quinte anche il regista e l’autore. Abbiamo incontrato il regista Giancarlo Sammartano al quale abbiamo posto alcune domande sul lavoro:

 Il Timballo del Gattopardo, un testo teatrale o anche una performance?    

Tutti e due. Il Timballo del Gattopardo è, come la fragrante materia che evoca, una dorata crosta in cui convivono molti e diversi elementi: testo letterario, ma anche la calcolata imprevedibilità di una cucina in azione.

Ma la storia?  

In un salone da pranzo, che sovrasta a vista la sua cucina, due figure –ma è più giusto dire figurine- in perfetto stile ‘900 (ma anche molte reminiscenze letterarie dell’800, e ancora indietro fino alla madre Grecia!) dibattono e contrastano sul menù di un banchetto epocale: 13 convitati, 4 diverse portate per ciascuno, 52 piatti. Una metafisica scena di conversazione –Pinter e Martoglio- tra due generazioni, zio e nipote, scandita dall’azione reale della cucina che bolle, sfrigola, insapora. Motore del tutto è come sempre l’amore, una passione impossibile nata e tenuta in vita dall’effimera cottura del cibo.

     E’ il valzer dell’acquolina, il tango delle papille, la contraddanza del dolce e del salato.

E il testo letterario?

     Nella diversità dei personaggi, pure circola la lingua comune della citazione letteraria, servita e sorbita come un liquore forte e raro. Quasimodo, Archestrato di Gela, Omero, De Roberto, Brancati, Verga, Vittorini, Tomasi di Lampedusa si materializzano a sorpresa dalle pagini di libri che sono qui non solo bagagli della memoria, ma veri e coerenti oggetti scenici: micidiali micce della nostalgia.

Cucina e teatro possono stare insieme?

     La cucina, come il teatro -di cui resta chiusa nel libro di chi lo ha scritto solo la foglia della memoria di chi lo ha visto- vive sempre nel presente. Il suo senso nascosto rivive nella memoria della ricetta, dove aleggia sempre minacciosa l’ambiguità del q. b. (quanto basta). Uno spettacolo sul baratro crudele del Tempo, sempre oscillante tra nostalgia del passato e attesa del futuro. Uno spettacolo sul cibo e sul desiderio, sulla sublime tecnica per rendere un piacere ciò che è necessità, scelta ciò che è obbligo: metafora di un’ascesa dalla bassezza della materia, alla leggerezza dell’arte. Cibo come danza, musica, poesia. L’in più del quotidiano. Edonismo, sì, ma epicureo. Voglia insaziabile di bellezza. Sapori e aromi da gustare sapendo che ciò che più importa è mantenere vivo il desiderio, poter pensare, in un lampo: E’ così bello che pare già di ricordarsene.

E gli attori?

       Carlo Cartier –attore fior di farina– si finge chef di antica concezione e rigido garbo (ancora un personaggio nel suo Canzoniere), mentrte Carmelo Chiaramonte – chef di fama- si fa attore di una storia altrui che pure parla di lui, del suo amore per la Tradizione, per l’armonia della cultura materiale. Entrambi, come veri antropologhi, studiano e raccontano l’uomo mentre si muta.

Questa di domenica è una replica: un motivo in più per vederlo?

       Le continue sorprese, i colpi di scena, un finale giallo. La garanzia che uscendo sarà stato come un viaggio fantastico nei sapori e nei valori di una tradizione spesso rimossa ma non dimenticata. Soprattutto tanto sano divertimento. Agli spettatori di domenica e a quelli delle prossime serate in provincia di Ragusa e Catania, pubblico eletto, vorremmo tanto offrire il piacere di una serata diversa:quindi, e soprattutto: Buon divertimento!

Anche l’autore Rosario Galli si è soffermato con noi per una intervista:

Come è nata l’idea di scrivere questo testo?

 L’idea è di Carlo Cartier con il quale abbiamo lavorato insieme in passato; mi disse che voleva un monologo sulla letteratura gastronomica siciliana e così cominciai a leggere alcuni grandi classici del passato.

E poi si è trasformato in un testo a due personaggi, come mai?

Perché dopo una prima versione in cui era previsto un solo personaggio, sempre Carlo mi disse che aveva la possibilità di coinvolgere nel progetto un famoso chef siciliano; incontrammo Carmelo Chiaramonte a Roma, a Campo de Fiori, parlammo a lungo e iniziò una collaborazione feconda che ha portato alla stesura attuale.

E’ stato difficile collaborare con uno chef come Carmelo Chiaramonte?

Al contrario, ho imparato tante cose meravigliose sulla cucina siciliana; e poi anche Carlo è un cuoco di ottimo livello, ma insiste a voler fare l’attore… scherzo ovviamente; è un attore straordinario e con Carmelo hanno creato una strana coppia a tratti anche esilarante.

E’ vero che il testo è anche un giallo?

In parte sì; mi piace far ridere, ma anche commuovere e in questo spettacolo si ride, e alla fine si resta spiazzati per un finale davvero imprevedibile, da non perdere.

La cucina va in scena: come è possibile?

Vero, Carmelo prepara dei piatti semplici e gustosi, ma poi purtroppo nessuno li mangia; però alla fine agli spettatori arriva comunque una dolce sorpresa, una cosa di rara delicatezza.

A quali autori si è ispirato per scrivere?

Tutti i più grandi, la preparazione del banchetto procede tra discussioni e litigi creando una miscela esplosiva dagli esiti a volte comici a volte drammatici, ma sempre di alto livello gastronomico. Ciò deriva ovviamente da due culture, due filosofie, due visioni del mondo, non solo culinario ovviamente, cominciando da Archestrato di Gela, capostipite dei cuochi poeti e filosofi, fino a Brancati e Camilleri, passando per l’Abate Meli, De Roberto, Verga, Tomasi di Lampedusa, Vittorini.  In fondo allo spettacolo c’è il colore, il sapore, l’odore, il suono, la delicatezza e l’asperità, della nostra Sicilia.

Infine abbiamo incontrato Carlo Cartier al quale abbiamo chiesto:

La nascita dello spettacolo?come nasce l’idea e come avviene lo sviluppo e la scelta dei collaboratori?

Da tempo pensavo e ragionavo su qualcosa da fare: nell’estate del 2008 l’incontro con l’ imprenditrice Signora  Marina Batolo è stato risolutivo, sull’onda dell’entusiasmo per la costruzione del Teatro Xenia di Marsa Siclà promisi che avrei portato in quel Teatro l’anteprima di quello che nel frattempo sarebbe diventato “Il TIMBALLO DEL GATTOPARDO”. L’idea per questo spettacolo mi frullò in testa sfogliando una vecchia edizione del romanzo di Tomasi di Lampedusa mentre sistemavo la libreria di casa, ricordo che mi portai il libro a mare e rileggendolo prese corpo il progetto di unire la gastronomia siciliana (sono una buona forchetta) alla stessa letteratura dei grandi autori della nostra isola. La scelta del  titolo fu illuminante, con due parole riassumevo il senso di quello che sarebbe diventato poi lo spettacolo. Nel tempo   molto si è elaborato, attraverso le  tante riscritture del testo, (un grazie particolare alla pazienza di Rosario Galli che ogni volta, prendendo nota delle mie perplessità riscriveva il tutto; così come l’apporto di Chiaramonte con le sue geniali intuizioni è stato fondamentale nella riuscita della stesura, la regia di Sammartano ha poi contribuito nell’affinare e teatralizzare quelle parti che sulla carta erano solo scritte e come non citare Antonello Geleng che in meno di 24 ore  fece il bozzetto della scenografia entusiasta dell’idea. Al di là dell’idea posso, senza falsa modestia, affermare che sono stato bravo a gestire queste alte professionalità senza le quali lo spettacolo non sarebbe mai andato in scena. Un grazie particolare lo devo anche all’amministrazione dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Ragusa così come alla Camera di Commercio, sempre di Ragusa, il loro intervento è stato risolutivo nella produzione dello spettacolo.

 

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