A colazione con Alessandro Quasimodo. Intervista di Daniele Pavone al celebre intellettuale, figlio del premio Nobel per la Letteratura e dell’artista Maria Cumani

«Piacere, Alessandro». Si presenta così, quasi per agevolare l’interlocutore, subito rapito dalla sua voce naturalmente impostata, dalla sua padronanza della lingua italiana e dall’intensità del suo sguardo – ereditato dalla madre, la grande Maria Cumani – tralasciando quel cognome così importante con cui suole citare il padre, per lui semplicemente «Quasimodo» o «il Poeta», con un’apparente e formale estraneità, quella che normalmente si conviene a un docente nel corso di una lezione sul premio Nobel per la letteratura del 1959.

Alessandro Quasimodo, figlio e nipote d’arte (la zia Rosa Quasimodo sposò Elio Vittorini), attore e regista, grande intellettuale del nostro tempo, lo incontro una mattina d’agosto a Modica, dove egli si trova in occasione di un ciclo di eventi organizzati dalla dinamica Associazione Proserpina che ha dato nuova vita al Museo della Casa Natale di Salvatore Quasimodo; l’occasione è una colazione tipicamente siciliana e proprio di Sicilia desidero dialogare con lui che la sera precedente, introducendo “Lamento per il Sud”, aveva affermato di condividere il sentimento del Poeta, protagonista di quell’«assurdo contrappunto di dolcezze e di furori» che gli turbò l’esistenza, tanto da spingerlo a comporre questo suo celebre «lamento d’amore senza amore».

«La Sicilia non cambia…», eppure gli faccio notare che sono tanti i siciliani che hanno rivestito le più alte cariche dello Stato, ma Alessandro risponde che «ci sono cose che non cambiano, e non cambiano mai, questo amareggiava molto Quasimodo, era la sua più grande delusione ogni volta che ci ritornava: la Sicilia è vittima della mentalità conservatrice e dell’immobilismo secolare dei siciliani, ormai abituati alla sottomissione, ad andare dietro al capopopolo di turno, adesso è arrivato Grillo… sono incapaci di reagire, di scendere in piazza per qualcosa – l’ultima volta è stata al tempo dei Vespri! – non c’è passione, non ci sono ideali, si resta in attesa della Provvidenza, che il governo centrale faccia qualcosa dimenticandosi che esiste già quello regionale, fedeli al politico amico nella speranza che possa fare un favore, senza porsi nessuna questione morale, neppure in presenza di corrotti che si sono rifatti una verginità: questa è la cosa che più non sopporto! Nonostante i tanti fatti gravissimi successi da Portella della Ginestra in poi, la tendenza rimane sempre quella di archiviare tutto senza fare i processi, si dimentica, si nasconde, come fanno le famiglie quando sciacquano i panni sporchi in casa, se chiedi di parlarne a un giovane non sa risponderti nulla, non c’è la memoria di questi fatti terribili».

Alessandro Quasimodo sembra molto duro, pessimista e rassegnato nel dire queste parole, in realtà fa parte della sua personalità senza peli sulla lingua, mi confida di affermare tutto ciò proprio perché egli stesso si sente siciliano, non vuole permettersi di giudicare, si definisce ottimista e nutre ancora la speranza in una reazione, in una rivoluzione pacifica, «i siciliani dovrebbero rimboccarsi le maniche, ma è difficile che ciò accada perché manca pure l’orgoglio dell’appartenenza, c’è solo a parole, difetto comune a tutti gli italiani, come dimostra la freddezza con cui si sono svolti i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, anzi c’è stato qualche sindaco che si è ribellato dicendo che si stava meglio coi Borboni, ma la gente cosa ne sa di come si stava coi Borboni che sono andati via da centocinquanta anni!? Io sono un garibaldino convinto, meno male che c’è stato Garibaldi!». Gli chiedo se la Sicilia resti comunque “impareggiabile” e mi risponde di «sì, perché è la terra promessa per l’unicità della sua bellezza, dei paesaggi, della natura, della storia e dei monumenti, peccato che i siciliani abbiano passato gli ultimi due secoli a distruggere tutto, senza rispetto, come testimoniano gli scempi nella Valle dei Templi o le spiagge dove si sporca senza che nessuno si preoccupi di portare via rifiuti che ha lasciato. Questo accade perché non c’è l’educazione civica che andrebbe insegnata nelle scuole, così come quella sentimentale».

La Sicilia per Salvatore Quasimodo: cosa amava e, al contrario, cosa non gli piaceva della sua isola? «Sicuramente non gli piaceva tutto ciò che è finto – come l’accoglienza che riceveva – e non gli piacevano certi politici. Per lui la Sicilia era lasciarsi prendere dalla mitologia, dai luoghi della sua infanzia, amava rivedere il padre finché è vissuto, le gite in barca, l’Anapo, la spiaggia di Roccalumera… quand’ero bambino, un’estate venne in Sicilia, me lo ricordo sulla spiaggia insieme a mia madre con un vocabolario siciliano-italiano intento a tradurre Buttitta, “Lu pani si chiama pani”, un grandissimo lavoro che gli è costato tanta fatica; nell’immediato ha ricevuto qualche complimento, poi c’è stato chi si è permesso di criticare la sua traduzione dal siciliano, dimenticando che a volte si fa ricorso ad espressioni vicine ma non uguali alla trasposizione letterale dell’originale, pur senza tradire il pensiero dell’autore …hanno criticato proprio lui che ha tradotto i lirici greci… ma ormai nessuno ne parla più, anche questo è un esempio di come la gratitudine sia merce rara, del resto lo dimostrano anche le difficoltà, gli ostacoli, i tempi lunghi, le incomprensioni, la fatica che io stesso ho dovuto sostenere per mantenere viva la sua memoria, per portare la quadreria in Sicilia, anche solo per mettere una targa… c’è stato anche chi una volta appropriatosi delle cose che ho messo a disposizione, ne ha fatto uso senza neppure sentire il mio parere, senza neanche un minimo di riconoscenza. Comunque, oggi sono soddisfatto di quel che si sta facendo sia a Roccalumera – dove i rapporti sono stati sempre ottimi – sia a Modica, dove le ragazze che adesso si occupano di Casa Quasimodo stanno lavorando splendidamente».
Alessandro Quasimodo è molto impegnato nel valorizzare i luoghi della memoria paterna: a Modica il padre è nato ed ha vissuto i primi mesi della sua vita per poi spostarsi a Roccalumera, paese d’origine della sua famiglia. Qual è la ragione più profonda di tale impegno? «Questa è una croce che mi porto dietro fin dalla nascita, anche a costo di sacrificare me stesso e la carriera. Me ne sono occupato quando di Quasimodo non se ne parlava più, proponendo scritti inediti e giovanili, perché purtroppo in questo Paese c’è sempre bisogno di una ricorrenza per ricordarsi di qualcuno, quindi mi sono impegnato affinché i luoghi in cui lui ha vissuto avessero un riscontro della sua presenza, per creare un interesse da parte del pubblico, in giro ci sono ancora testi che riportano “nato a Modica in Provincia di Siracusa” solo perché nessuno si è preoccupato di andare a controllare che nel 1927 è stata creata la Provincia di Ragusa, ma del resto l’Italia è questa! Lo stesso lavoro lo sto facendo per mia madre, Maria Cumani, attrice, ballerina, coreografa, anche lei poetessa».

A tal proposito, si dice che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna, mi risulta che sua madre ebbe un ruolo non indifferente nella vita e nelle opere di Salvatore Quasimodo… «Mia madre fu la musa del Poeta, lui veniva fuori da un matrimonio precedente con una donna di dieci anni più grande – Bice Donetti – un legame non felicissimo, lei era addetta alle macchine per il caffè espresso nel bar di Piazza Cairoli a Messina, allora ci voleva il patentino per fare questo mestiere, invece in mia madre trovò una persona di cultura con cui potesse confrontarsi, che lo aiutò concretamente nelle traduzioni dei lirici greci e di Neruda, del resto due fratelli di lei vivevano in Spagna: nei manoscritti c’è una calligrafia che non è quella di Quasimodo… In situazioni come questa può accadere che il marito diventi il pigmalione della sposa, invece nel loro caso lei era già pronta per essere la compagna del Poeta, poteva dialogare alla pari con lui. Si può ricostruire tanto di Quasimodo attraverso la figura e i diari di mia madre».

Modica ha dato i natali a Salvatore Quasimodo, fa parte della memoria dei primi mesi della sua vita, ma oggi è anche parte della Sicilia di Camilleri: i luoghi letterari non sono gli stessi della fiction, ad ogni modo il Commissario Montalbano ha regalato grandissima notorietà a questa città, così come a Ragusa, a Scicli e un po’ a tutta l’area iblea, diventando fondamentale per l’incremento dei flussi turistici. Ciò dimostra il potenziale mediatico della scrittura e della televisione, ma nello stesso tempo non trova sconfortante che sia stato necessario Camilleri per dare finalmente visibilità a un territorio così ricco di storia, di arte e di cultura? «Comprendo questo punto di vista, ma se la Sicilia non sa promuoversi!? Ormai si è persa pure la conoscenza del patrimonio artistico che ci circonda, c’è gente che non sa dell’esistenza di un monumento che magari si trova a pochi metri da casa, e questo succede anche a Milano… amo Camilleri, ho una grande stima di lui, è una persona di grande intelligenza, di ironia, di autoironia – dote di cui i siciliani sono carenti – sa scrivere, sa parlare! È una gioia sentirlo anche in televisione, sono un accanito lettore dei suoi libri, ritengo che sia uno dei più importanti scrittori siciliani, lo amo come Bufalino – grande dimenticato – come ho amato Bonaviri – che nessuno conosce – ma ormai di questi grandi non se ne parla più, ci si è scordati pure di Brancati… Quindi ben venga se il richiamo proviene da un personaggio carismatico come Camilleri, finché ci saranno le sue storie questi luoghi saranno vivi, dopo di lui resterà solo un museo all’aperto, riemergerà l’incapacità di promuoversi».

Vorrei discutere di tante altre cose, dialoghi come questo sono opportunità rare, ma la colazione è già finita e dunque preferisco congedare il mio prezioso ospite, ringraziandolo infinitamente per la disponibilità; in fondo, a volte la brevità è un pregio, proprio da essa tante poesie hanno tratto la loro efficacia, restando indelebili nella mente collettiva. Il sentimento espresso da Quasimodo nei versi di “Lamento per il Sud” è vivo in Alessandro, un uomo che dimostra di avere la fortuna di vivere nella conoscenza più profonda del significato di Arte e di Bellezza, muse che lo hanno accompagnato fin dalla nascita attraverso le Belle Lettere e la Sicilia impareggiabile del Poeta; egli si rammarica perché in realtà esse sarebbero a disposizione di tutti, eppure solo in pochissimi riescono ad apprezzarle, a viverle con passione, mentre al contrario tanti ne fanno oggetto di apatica indifferenza, persino di scempio: da questo nasce il suo tormentato rapporto di amore e di odio nei confronti dei siciliani e della loro terra, lo stesso del padre Salvatore Quasimodo. Evidentemente, ha ragione lui: manca l’insegnamento dell’educazione civica e di quella sentimentale, le discipline che aiuterebbero gli uomini a nutrirsi positivamente del proprio raggio di sole prima che sia subito sera.

a cura di Daniele Pavone

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