WIRSLAWA SZYMBORSKA

Ho scoperto questa moderna  poetessa qualche anno fa per caso e, da allora, di tanto in tanto, vado a rileggere qualcuna delle sue poesie che sono particolarissime e straordinarie.

Wirslawa Szymborska, di origine ebraica, nasce a Bnin, in Polonia, il 2 luglio del 1923. A sei anni, con la famiglia,  si trasferisce a Cracovia (antica capitale polacca) e lì si dedica allo studio. Nel 1936 perde il padre e, dal 1941 al 1943, durante la guerra, per non essere deportata,  dato che era impiegata alle ferrovie, rimane come lavoratrice forzata. Alla fine della guerra comincia le prime pubblicazioni e studia alla Università Jagellonica (la più antica Università polacca fondata nel 1364 da re Casimiro il Grande col nome di Akademia Krakowska dove studiò anche Nicolò Copernico) lettere e sociologia, ma poi dopo soli due anni lascia. Si sposa con il caporedattore Adam Wlodek nel 1948, da cui, in seguito divorzia pur restando in buoni rapporti con lui.

Diventa giornalista e illustratrice e continua con le sue pubblicazioni di cui riceve numerosi premi e riconoscimenti.

Nel 1967 si lega allo scrittore polacco Kornel Filipowicz, che poi muore nel 1990.

Compie qualche viaggio, ma  sostanzialmente vive sempre a Cracovia. Nel 1995 riceve la laurea honoris causa dall’Università di Poznan e l’anno successivo riceve il premio Nobel per la Letteratura  per la sua “precisione ironica che permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di umana realtà”.

Infatti le  poesie della Szimborska sono proprio caratterizzate dall’arguzia, dalla sintesi, dall’introspezione, dall’eloquio elegante, da un utilizzo retorico dell’ironia, del paradosso, della contraddizione, della litote (figura retorica che consiste nell’attenuare formalmente l’espressione di un giudizio o di un predicato col negare l’idea contraria, ottenendo per lo più l’effetto sostanziale di rinforzarla), per illustrare temi filosofici, l’umanità, le ossessioni e la società.

Muore l’1 febbraio del 2012.

A seguire una piccola antologia delle sue poesie.

La prima la scrisse quando perse il compagno Kornel Filipowicz, dove l’assenza del defunto sconvolge tutto anche se la vita continua, ma non è più la stessa.

Il gatto in un appartamento vuoto


Morire – questo a un gatto non si fa.

Perché cosa può fare il gatto

in un appartamento vuoto?

Arrampicarsi sulle pareti.

Strofinarsi tra i mobili.

Qui niente sembra cambiato,

eppure tutto è mutato.

Niente sembra spostato,

eppure tutto è fuori posto.

E la sera la lampada non brilla più.

Si sentono passi sulle scale,

ma non sono quelli.

Anche la mano che mette il pesce nel piattino

non è quella di prima.

 

Qualcosa qui non comincia

alla sua solita ora.

Qualcosa qui non accade

come dovrebbe.

Qui c’era qualcuno, c’era,

e poi d’un tratto è scomparso,

e si ostina a non esserci.

 

In ogni armadio si è guardato.

Sui ripiani è corso.

Sotto il tappeto si è controllato.

Si è perfino infranto il divieto

di sparpagliare le carte.

Cos’altro si può fare.

Aspettare e dormire.

 

Che lui provi solo a tornare,

che si faccia vedere.

Imparerà allora

che con un gatto così non si fa.

Gli si andrà incontro

come se proprio non ne avesse voglia,

pian pianino,

su zampe molto offese.

E all’inizio niente salti, né cigolii.

Questa invece dove immagina la prima foto scattata ad un anno ad Adolf  Hitler.

La prima fotografia di Hitler

da “Gente sul ponte”

E chi è questo pupo in vestina?
Ma è Adolfino, il figlio del signor Hitler!
diventerà forse un dottore in legge
o un tenore dell’Opera di Vienna?
Di chi è questa manina, di chi, e gli occhietti, il nasino?
Di chi il pancino pieno di latte, ancora non si sa:
d’un tipografo, d’un mercante, d’un prete?
Dove andranno queste buffe gambette, dove?
Al giardinetto, a scuola, in ufficio, alle nozze,
magari con la figlia del borgomastro? 

Bebè, angioletto, tesoruccio, piccolo raggio,
quando veniva al mondo, un anno fa,
non mancavano segni nel cielo e sulla terra:
un sole primaverile, gerani alle finestre,
musica d’organetto nel cortile,
un fausto presagio nella carta velina rosa,
prima del parto un sogno profetico della madre:
se sogni un colombo – è una lieta novella,
se lo acchiappi – arriverà chi hai a lungo atteso.
Toc, toc, chi è, è il cuoricino di Adolfino.

Ciucciotto, pannolino, bavaglino, sonaglio,
il bambino, lodando Iddio e toccando ferro, è sano.
somiglia ai genitori, al gattino nel cesto,
ai bambini di tutti gli album di famiglia.
Be’, adesso non piangeremo mica,
il fotografo farà clic sotto la tela nera.

Atelier Klinger, Grabenstrasse, Braunau,
e Braunau è una cittadina piccola, ma dignitosa,
ditte solide, vicini dabbene,
profumo di torta e di sapone da bucato.
Non si sentono cani ululare né i passi del destino.
L’insegnante di storia allenta il colletto
e sbadiglia sui quaderni.  

Credo che un simile pensiero guardando un film giallo lo abbiamo fatto in tanti…

Il 16 maggio 1973

da “La fine e l’inizio”

Una delle tante date
Che non mi dicono più nulla.

Dove sono andata quel giorno,
che cosa ho fatto – non lo so.

Se lì vicino fosse stato commesso un delitto
– non avrei un alibi.

Il sole sfolgorò e si spense
Senza che ci facessi caso.
La terra ruotò
E non ne presi nota.

Mi sarebbe più lieve pensare
Di essere morta per poco,
piuttosto che ammettere di non ricordare nulla
benché sia vissuta senza interruzioni.

Non ero un fantasma, dopotutto,
respiravo, mangiavo,
si sentiva
il rumore dei miei passi,
e le impronte delle mie dita
dovevano restare sulle maniglie.

Lo specchio rifletteva la mia immagine.
Indossavo qualcosa d’un qualche colore.
Certamente più d’uno mi vide,

Forse quel giorno
Trovai una cosa andata perduta.
Forse ne persi una trovata poi.

Ero colma di emozioni e impressioni.
Adesso tutto questo è come
Tanti puntini tra parentesi.

Dove mi ero rintanata,
dove mi ero cacciata –
niente male come scherzetto
perdermi di vista così.

Scuoto la mia memoria –
Forse tra i suoi rami qualcosa
Addormentato da anni
Si leverà con un frullo.

Ed infine questa, ne avrei messe molte di più. Chi lo desidera le può trovare. Soprattutto per il gusto di cercare qualcosa che incuriosisce.

Quest’ultima è quella che mi ha fatto conoscere questa straordinaria poetessa.

Lode della cattiva considerazione di sé

da “Grande numero”

La poiana non ha nulla da rimproverarsi.
Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera.
I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni.
Il serpente a sonagli si accetta senza riserve.

Uno sciacallo autocritico non esiste.
La locusta, l’alligatore, la trichina e il tafano
vivono come vivono e ne sono contenti.

Il cuore dell’orca pesa cento chili
ma sotto un altro aspetto è leggero.

Non c’è nulla di più animale
della coscienza pulita sul terzo pianeta del Sole.                                                              

 

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