UOMO IN CATENE

Rousseau, grande filosofo e precursore dell’Illuminismo disse una frase storica: l’uomo nasce libero, ma ovunque è in catene. Questo è l’aforisma che costituisce il nodo centrale del suo “Contratto sociale”.

Ma perché l’uomo, nonostante abbia raggiunto nella società contemporanea un certo grado di eguaglianza con gli altri uomini, almeno sul piano dei diritti e dei doveri, non si sente libero e appagato da questo sistema apparentemente egalitario? Egli, come anche in passato, è inquieto, vive (soprattutto  nella nostra epoca) in competizione incessante con i suoi simili,non vuole essere sopraffatto da nessuno per sentirsi libero, vuole vincere il confronto con i propri rivali di settore. Egli sente l’importanza  della buona opinione altrui,perché la considera un valore determinante per il proprio benessere. I risultati  di questo suo incredibile impegno  per il miglioramento personale e per il raggiungimento di un buon livello di autodeterminazione, sono visibili nel processo  di mobilità sociale degli ultimi 30 anni riscontrato nella società di oggi. In essa infatti si è assistito alla grande “Escalation” delle classi e dei ceti dei cosiddetti “nuovi ricchi”, ossia degli appartenenti alle categorie imprenditoriali, dall’umile passato, che si sono ora riscattati da esso. Queste sono ormai delle sacche cresciute in maniera esponenziale. La loro ascesa nella scala gerarchica sociale è scaturita dal sistema economico e commerciale, fondato sull’evoluzione esasperata del capitalismo, dottrina economica riveduta e corretta, che ha fatto spazio anche al dinamismo della finanza e ha prodotto un benessere considerevole e insperato anche alle classi storicamente meno abbienti (quest’ultimo fenomeno è rimarchevole soprattutto nell’elettorato del partito politico della “Lega Nord”.).

Tuttavia la nuova realtà socio economica denota aspetti positivi solo in modo apparente .In essa incombe sempre quel bubbone che,il sociologo americano Ogburn denominava, già agli inizi del Novecento, con il termine “Cultural lag”, ovvero teoria DEL RITARDO CULTURALE. Si tratta di un grave squilibrio tra la natura biologica dell’uomo e la sua  espressione culturale,che diviene più profondo in seguito ad ogni conquista della scienza e della tecnica. In altri termini, nella nostra epoca assistiamo ad un miglioramento dell’uomo in senso economico,cui non corrisponde un’analoga e opportuna evoluzione culturale e comportamentale. Lo Stato, di qualsivoglia colore politico, ha trascurato sempre la gravità del suddetto fenomeno, con le penose conseguenze che ne derivano a livello dissociativo e caratteriale. Nella nostra società infatti viene dato molto risalto all’immagine esteriore. Sono pubblicamente in auge donne dello spettacolo in generale, dotate di bellezza sfolgorante, ostentate smodatamente e severamente con gambe accavallate e senza pudore alcuno ,oltre a uomini brillanti, di cultura (che io definirei  invece “informati”), dotati di facilità di parola, quasi tutti privi di etica di fondo. I nostri programmi televisivi di maggiore sussiego sono pieni di questi personaggi, che fanno gli opinionisti (senza una base culturale nella maggior parte dei casi) su svariati argomenti, privilegiando la gradevolezza estetica  piuttosto che i contenuti. Questo a danno del cittadino contribuente telespettatore, che viene disorientato dalle loro teorie, senza trarre alcun beneficio morale. Tutto ciò nel nostro paese non è per niente decoroso, in quanto lo stato libertario in cui viviamo, non garantisce al cittadino il vero insegnamento etico, e tanto meno si fa promotore di rettitudine morale verso la collettività.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it