Tra la Sicilia e la vita, Nico Arezzo esordisce con l’album “Non c’è mare”

Di Marianna Triberio

Dopo un paio d’anni di esperienza in giro per l’Italia, tra talent (provini di xfactor) e festival di rilevanza, come il Festival Show 2017 all’Arena di Verona e il Festival di Sanremo (tra i 12 finalisti delle nuove proposte), Nico Arezzo cammina con le sue gambe e lo fa a passo spedito, attraverso l’album d’esordio “Non è mare”.

Nato e cresciuto a Ragusa, dopo la maturità scolastica si trasferisce a Bologna e lì prosegue la sua ricerca, fatta di sperimentazione, curiosità e «un sacco di passeggiate in casa, perché non so stare fermo, ho voglia di fare e provare e condividere.»

Interrompiamo una delle tante passeggiate giornaliere per farci raccontare un album che racchiude tutto ciò che serve per conoscerlo, a partire dal luogo in cui è nato.

«Ho cercato di ringraziare Bologna, la Sicilia, gli amici, la situazione sentimentale, il divertimento, la lacrima, ho cercato di prendere quello che per me è importante e racchiuderlo in una raccolta. Il mio obiettivo era come se fosse una serata, nella mia terrazza, passiamo tutta la notte a raccontarci.»

Tredici brani si susseguono e alimentano la curiosità di chi ascolta, uno alla volta, perché non c’è una definizione di stile entro cui definire questo lavoro.

«A livello testuale e musicale è curioso che non ci sia una categoria, del resto, nasco come soul, funky ma poi dentro faccio ciò che mi viene da fare.»

Penna autentica, sincera, schietta, e sonorità che davvero raccolgono quella densità di input che la vita gli regala, e con vita si intende realmente vita, dettagli minuscoli del quotidiano, come uno “spazzolino”, da cui nasce uno dei brani dell’album. 

«Sono convinto che queste sensazioni, queste cose che vedo le vediamo tutti quanti, oltre a percepirli io mi fermo un secondo ma è una cosa che possono fare tutti, sono pensieri talmente rapidi che lasci andare subito. Se ti fermassi per un secondo, vengono fuori cose di una curiosità incredibile.»

Nico Arezzo vive di musica e live, è nel contatto con il pubblico che trova non soltanto adrenalina ma anche ascolto, comprensione, dialogo.

«Il dramma di un concerto è prima, il momento in cui sali sul palco è tosta, ma poi iniziare è troppo divertente, fare il concerto, fare il live è un’emozione che non riesco a descrivere. Ho la fortuna di essere circondato da amici, che tra l’altro hanno un livello musicale elevatissimo, saremo in giro per l’Italia tutta l’estate e non vedo l’ora.»

Un’indole che racconta “tracce genetiche artistiche” evidenti, figlio d’arte, il padre è il noto musicista Peppe Arezzo, la madre è la danzatrice Emanuela Curcio.

Un’eredità potente su cui trovare forza ma anche, talvolta, ingombro.         

«È stato difficilissimo nel corso degli anni riuscire a fare i conti con un’eredità importante.

Il modo di mio padre non era un “fai come me”, era un proteggerti, un cercare di farmi andare nella strada più sicura non bloccandomi, ma indirizzandomi.

La cosa meravigliosa è quando superi lo step, quando arrivi al punto di rottura inteso come prendere una strada diversa, e poi trovi un “vedi che succede” e poi “sai che mi piace?”, lì diventa un’alleanza e una fortuna enorme.

A mio padre devo praticamente tutto di ciò che sono adesso, mi rendo conto di livelli artistici, di professionalità, altissimi.»

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