La tragedia di Vittoria, il racconto dei vicini: “Due torce umane urlavano e lui le inseguiva per bruciarle ancora”

Le urla nella notte. Due corpi che bruciano si riversano fuori dalla piccola casa di piazza Unità gridando di dolore e chiedendo aiuto. Due torce umane corrono nella piazzetta.

In un battibaleno il quartiere si sveglia. In quella piazzetta nel cuore del centro storico di Vittoria, piazza Unità, alle due della notte scorsa, la tragedia si è consumata all’improvviso. E le grida hanno svegliato tutti.

Sameh Zaouali, 34 anni e Omaima, 19, due sorelle, si sono riversate sulla strada, simili a torce umane. Qualcuno è sceso subito in strada con delle coperte per spegnere coraggiosamente le fiamme. Le coperte sono rimaste attaccate al corpo di una ragazza, ormai ustionata in gran parte del corpo. Dei giovani tunisini sono entrati eroicamente in casa, affrontando le fiamme per tirare fuori il padre, Kamel Zaouali, 57 anni e la madre, Mariam, 55, ormai simile a un tizzone. I giovani l’hanno adagiata sul pavimento mentre qualcuno chiamava i soccorsi.

La tragedia

La tragedia e il dolore sono impressi ancora negli occhi e nel cuore di chi ha vissuto quegli attimi tremendi. E che ora sa che Mariam non ce l’ha fatta (è morta dopo poche ore di agonia) e la figlia maggiore Sameh l’ha raggiunta poche ore dopo.

I ricordi sono nitidi. “Mi sono svegliata di soprassalto sentendo le urla. Un minuto dopo eravamo già in strada. L’uomo che aveva appiccato il fuoco (l’unico maschio della famiglia Zaouali) continuava a inseguire le sorelle con una torcia in mano. Loro bruciavano e lui voleva continuare, ostinatamente, a dare fuoco. Poi si è allontanato e non lo abbiamo più visto. Ho ammirato il grande cuore dei ragazzi tunisini che sono entrati nella casa in fiamme, rischiando la vita, per tirare fuori chi era rimasto avvolto dal fuoco. E ho ammirato chi ha subito avvolto le ragazze con delle coperte per spegnere le fiamme. Poco dopo sono arrivati i soccorsi e tutti sono stati caricati in ambulanza, È rimasta la casa, ormai ridotta a un tizzone, è rimasta la grande paura, una tragedia e delle immagini che non dimenticheremo mai”.

La famiglia Zaouali

La famiglia Zaouali era molto conosciuta e stimata. Viveva da tempo nella casetta del quartiere Trinità, dove i figli erano cresciuti e dove negli anni si era aggravata la situazione di difficoltà del figlio Ouajdi. Un percorso fatto di droghe, reati, arresti e detenzione domiciliare. Polizia e carabinieri conoscevano fin troppo bene quell’uscio e quel portone. E poi le violenze, le continue violenze, le grida efferate che i vicini erano abituati ad udire. Mamma e papà lo avevano denunciato, ma lui era rimasto a piede libero. La legislazione italiana non consente e non prevede misure coercitive che possano servire ad evitare le tragedie. E l’ineluttabile è accaduto nella notte tra il 12 e il 13 giugno, distruggendo per sempre la vita di una famiglia. Una famiglia stimata, integrata. Kamel lavorava e così la figlia maggiore Sameh. Tutti erano andati a scuola. Un’altra figlia si trovava fuori sede nel Nord Italia per gli studi universitari. Omaima, la più piccola, appena 19 anni, si accingeva ad affrontare l’esame di maturità, l’ultimo passo prima dell’università. Un sogno interrotto bruscamente dall’odio del fratello, che l’ha cosparsa di benzina e ha appiccato il fuoco, inseguendola ancora con la torcia in mano mentre lei continuava a bruciare.

Il trentenne si è poi allontanato. Le testimonianze di chi lo conosceva, le immagini delle telecamere hanno permesso di rintracciarlo poco dopo nei pressi di un bar. Non aveva fatto molta strada, forse voleva lasciare Vittoria, cosciente di avere ormai la Polizia alle calcagna. Condotto in Commissariato, è stato interrogato mentre la macchina dei soccorsi smistava i feriti verso i reparti per ustionati del Cannizzaro di Catania e del Civico di Palermo. La madre Marian è morta all’ospedale di Vittoria. È stata la prima vittima, se n’è andata in poche ore. In serata è toccato a Sameh.

Nella scuola Mazzini le lacrime scendono all’improvviso, sui volti dei docenti e dei compagni di classe, che in questi giorni sono a casa per preparare gli esami. Il banco di Omaima resterà vuoto martedì 18. Non si siederà per affrontare la prima prova, il tema di italiano. Omaima sta sostenendo l’esame più difficile, sta cercando di lottare per aver salva la vita. Ma questo giorno, comunque vada, la segnerà per sempre.

Al suo fianco non ci saranno la madre e la sorella Sameh, che sono morti. L’altra sorella, studentessa universitaria, ha interrotto gli studi per correre dalla sua famiglia. È sola, circondata dalla tragedia, la sua casa e la sua famiglia non esistono più.

Ora si avvia la macchina giudiziaria, ma al di là delle procedure previste dalla legge, un fatto appare chiaro: Ouajdi deve rispondere di omicidio volontario e premeditato, aggravato dai futili motivi e dai legami familiari. Rischia l’ergastolo.

Il sindaco Francesco Aiello ha proclamato il lutto cittadino. La città si fermerà per rendere omaggio a Mariam e Sameh. Al loro coraggio, alla loro vita di dolore e dedizione. Al loro amore per la famiglia che non sono riuscite a proteggere e a salvare.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it