IL SOLFITO NELLA NOSTRA TAVOLA

Quando si parla di solfiti, subito il pensiero corre al vino, nel quale spesso crediamo sia presente questa sostanza nociva in quantità notevoli. Effettivamente la legislazione italiana in materia permette al produttore di vino un uso abbastanza elevato di questa sostanza. I valori si attestano su un massimo di 210 milligrammi litro per i vini bianchi e i rosati, di160 milligrammi litro per i rossi, mentre per i vini con residuo zuccherino superiore ai 5 grammi litro, se rossi 210 milligrammi litro e se bianchi 260 milligrammi litro. Ai vini dolci, ai vini bianchi secchi e ai rosati è permessa una aggiunta maggiore di anidride carbonica, perché più propensi allo sviluppo di batteri, alle alterazioni e all’ossidazione.

I solfiti vengono aggiunti al vino, non solo per mantenerne il colore, che in mancanza di solfiti virerebbe  subito verso tonalità torbide e scure, bensì per difendere, prima il mosto e dopo il vino, da sostanze batteriche che ne rovinerebbero la sanità. L’anidride solforosa, infatti, viene aggiunta più volte durante la lavorazione di vinificazione dell’uva. Sono tre i momenti principali in cui si provvede alla solfitazione: sul mosto prima della fermentazione, durante l’affinamento e durante l’imbottigliamento. Parte dell’anidride solforosa aggiunta rimarrà libera, senza legarsi ad altri componenti del vino, e quindi capace di svolgere le sue funzioni antiossidanti e antibatteriche. Una parte, però, si combinerà con altre sostanze, perdendo le sue caratteristiche sanitarie e mantenendo solo quelle di tossicità per l’uomo.

In Italia, così come nella maggior parte dei paesi, c’è l’obbligo di riportare in etichetta la presenza o meno dei solfiti. Questa avvertenza ha evidentemente raggiunto lo scopo di informare il consumatore sulla presenza o meno di questa sostanza tossica nei vini, ma il legislatore, forse in malafede, ha evitato di approfondire il tema  degli effetti dei solfiti sugli alimenti.

Abbiamo visto che le quantità permesse della legislazione sono decisamente alte, ma c’è da dire che la maggior parte dei vini prodotti  non raggiungono il tetto massimo di presenza di solfiti. L’aggiunta maggiore di quantitativi di solfiti è condizionata alla salute dell’uva raccolta. Se l’uva sarà perfettamente sana, necessiterà di un quantitativo minore di anidride solforosa, mentre se l’uva presenterà molti problemi a livello sanitario, necessiterà maggiore anidride solforosa per mantenersi.

La legge in materia, invece di limitarsi a porre l’obbligo di indicare la presenza di solfiti, che risulta abbastanza inutile, poiché più del 99% dei vini prodotti in Italia presenta solfiti, avrebbe dovuto imporre l’obbligo di riportare i quantitativi presenti. In questo modo il consumatore avrebbe una maggiore percezione, non dico sulla validità del prodotto, poiché non è detto che da uve perfettamente sane debba nascere un prodotto di grande pregio, ma certo sulla qualità sanitaria delle uve con cui è prodotto quel vino e sul quantitativo di solfiti che esso contiene. Con l’attuale legge si pone sullo stesso livello il produttore che fa un uso più che abbondante di solfiti con quello che prova di tutto per inserirne il minimo necessario.

L’altro punto ambiguo in materia di solfiti è che forse non tutti sanno che i solfiti non sono presenti solo sul vino, ma bensì in moltissimi prodotti alimentari. Un esempio: sui crostacei, in cui sono presenti per evitare l’annerimento della testa, si trovano in quantitativi elevatissimi e non sempre vengono dichiarati. Sulla carne fresca sono proibiti, sebbene in passato se ne faceva altissimo uso e tutt’oggi capita di trovarne, poiché mantenendo il colore roseo della carne se ne occultava la decomposizione. Sulla carne trita per hamburger però si possono aggiungere e questo la dice lunga su cosa stiamo acquistando. Altri prodotti che possono presentare solfiti sono i cereali, la frutta essiccata, i sottaceti, i sotto oli, la birra, le salse, l’aceto e altri prodotti ancora. Il consumatore non ne è però a conoscenza, poiché il più delle volte vengono indicati solo con le sigle, ovviamente sconosciute ai più, che partono da E220 fino alla sigle E228. Queste sigle abbastanza comuni nei prodotti altro non sono che solfiti.

L’impressione è che anche qui, evitando di mettere a chiare lettere, come nel vino “contiene solfiti”, si cerchi, in qualche modo, di non penalizzare certi tipi di prodotti o i produttori stessi, ma ci si metta al sicuro con il consumatore inserendo le sigle del solfito.

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it