IL CONFRONTO ESISTENZIALE

Quando ci si perde nella nebbia, si incrementa un potenziamento dello sviluppo sensoriale di ogni sensazione e visione. Per quanto questa realtà la si possa descrivere come fredda e ferma, esprime il flusso discensionale di tutte le anime perse nell’ignoto.

La profezia autolesionistica per chi vuole restare nella propria madre terra induce a profonde riflessioni. Si può certo andare via per sondare altri orizzonti, chissà più vasti, ma le potenzialità nascono da dentro non da fuori. Le idee che si sviluppano possono avere autenticità realistica nel momento stesso in cui si converte il pensare secondo una teoria mentale in un agire secondo un essenziale da salvaguardare. Allora ogni territorio darà la possibilità di un arricchimento: se si parte anzi dalla creazione originaria sarà possibile generare un’energia ombelicale, che partorirà figli dai grandi occhi luminosi.

Osservare solamente senza l’atto pratico dell’esperienza riflette simbolicamente la figura di un contadino che guarda la terra senza mai ararla.

Sì ritengo che sia necessario recarsi verso sé stessi, per giungere a quelle infuocate consapevolezze, per non rendersi schiavi di un sistema che ci vuole con una forma ma senza una sostanza.

Le prove coraggiose di ribellione intellettuale esistono, ma non sempre la dinamica di informazione favorisce un’acquisizione di crescita interiore, di ciò che l’anima, la mente e il cuore sono in grado di germogliare. Se si possiede un tal verità si saprà come addentrarsi nella speleologia conoscitiva, per trovare gli immensi tesori atavici.

Si può certo offrire uno spunto importante su cosa i piedi devono calpestare per avere salde radici: la letteratura amplia le prospettive e permette di giungere alle essenze primordiali psichiche, che si dissetano grazie alle falde acquifere della conoscenza. Questo non può essere fatto con una reticenza di parola, perché ciò comporterebbe uno svuotamento dei cassetti onirici. Con l’elargizione di concetti liberi da imposizioni gerarchiche o morali si evita di uccidere la pura innocenza. Grazie a Cézanne e al suo tornare all’arte, dopo la morte della madre, si ha la testimonianza di un dolore in grado di reagire e convertire gli scompensi emotivi in un mistico tratto del suo passaggio.

Non bisogna spegnere dentro di sé ogni emozione che permette di riscoprire l’universo, e che ossigena le sinapsi e le arterie coronarie. Si evita così di indossare i panni di Mearsault di Camus, che nulla sente e in nulla risplende.

Nella gravi leggerezza ci si forgia di una più umana sensibilità percettiva, senza le logiche di blocco e paura sociale.

La verità che si intravede nella poesia è quella luce che si cerca di afferrare negli scambi relazionali e nelle tenebre solitarie.

Vale la pena quindi lottare per ciò in cui si crede, anche con il rischio di perdersi nel deserto dell’indifferenza.

E non va neanche assecondato ogni valore che non sia diretto alla sorgente interiore, in quanto se viene avvelenata ogni sorso distruggerà ogni corporea unicità, che nell’umiltà indossa le vesti più semplici di una continua ed estenuante ricerca.

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