È IL CALDO CHE CI INGUAIA

L’ennesima estate di caldo torrido dovrebbe aprire un interrogativo sui futuri problemi del vino siciliano. In Sicilia ha sempre fatto caldo, ma che le temperature tendono ad alzarsi progressivamente è un dato di fatto. Questa non è e non vuole essere la sede dove affrontare le cause del riscaldamento globale, ma basta confrontare le diverse annate, per rendersi conto che il grado alcolico dei vini è aumentato con il passare dei decenni. Basta confrontare le varie annate dei vini di Bordeaux, regione vitivinicola francese, dove dalla metà dell’Ottocento vengono registrati i dati climatici, per rendersi conto dell’ aumento del tenore alcolico. Ora, sebbene i vini di Bordeaux nel complesso hanno beneficiato di questo innalzamento del grado alcolico, per la Sicilia, invece, rischia di diventare un grave problema.

Per la coltura contadina la forte componente alcolica era un pregio, se non altro perché il valore a cui veniva venduta l’uva aumentava in base al quantitativo zuccherino e di conseguenza al potenziale alcolico. Era, quindi, prioritario per il coltivatore riuscire a ottenere un’uva ricca di zuccheri. Nel momento in cui in Sicilia alcuni produttori hanno deciso di produrre vini di un certo livello qualitativo, si è posto subito il problema dell’eccessivo potenziale alcolico. Questo difetto veniva accentuato dalla mancanza di una adeguata componente acida, dovuta al caldo, capace di equilibrare il vino e soprattutto di renderlo resistente all’ossidazione.

Effettivamente i vini siciliani, nonostante molte aziende sostengano il contrario, non sono adatti a lunghi invecchiamenti, ad eccezione del Marsala e altre poche etichette. Per il resto i vini in Sicilia, soprattutto quelli bianchi, tendono a ossidare abbastanza precocemente, proprio perché poveri di acidità. Il tentativo, abbastanza goffo, ma che ha riscosso notevole successo, di compensare questa mancanza di acidità vendemmiando anticipatamente, si è rivelato del tutto inutile. I vini così trattati nel primo anno dopo la vendemmia possiedono un’acidità troppo nervosa e poco integrata con la morbidezza del vino. Non solo, il vino così sbilanciato non raggiungerà mai un equilibrio tra le componenti dure (acidità, tannino e sapidità) e quelle morbide (alcol, zuccheri, glicerina). Dalle sensazioni aspre iniziali, passerà direttamente alla perdita di acidità e quindi all’ossidazione. A queste argomentazioni, si aggiunge la costatazione abbastanza logica che se si desidera un vino ricco di acidità, ci si affida a un vino del nord.

Il problema del caldo, non è tanto il grado alcolico, che dipende soprattutto dal quantitativo d’insolazione, ma la precipitazione dell’acidità. L’ideale sarebbe una zona con molte ore d’insolazione, ma allo stesso tempo con temperature non esageratamente calde, soprattutto se si tratta di uva a bacca bianca, o quanto meno, anche se non sufficiente, con forti escursioni termiche tra la notte e il giorno. In questo modo si può ottenere grado alcolico e acidità sufficiente da evitare la precoce ossidazione del vino. Non solo, un vino con molto corpo e alcol risulta meno pesante se possiede una buona componente acida.

Un’ultima precisazione. Oltre all’andamento climatico, bisogna tenere conto anche della varietà che si coltiva. Alcune preferiscono climi più caldi, altre no. Alcune mantengono meglio l’acidità, altre meno, come per esempio lo chardonnay, molto in voga in Sicilia, che matura già a metà agosto e che tende a perdere molto facilmente la sua componente acida, richiedendo così una particolare abilità nell’enologo per evitare la precipitazione dell’acidità.

In attesa che si chiariscano i problemi legati all’alzamento delle temperature e se è possibile porvi rimedio, agli enologi che lavorano in Sicilia e nelle zone calde viene richiesto un maggiore studio per evitare l’ossidazione precoce dei vini, senza ricorrere a trucchetti in cantina.

(Giuseppe Manenti)

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