ARTE E CULTURA A RAGUSA. EMOZIONI VERE E ATTEGGIAMENTI FINTI

Ho partecipato – in uno degli scorsi sabati – alla inaugurazione di una mostra di quadri e di foto presso i locali al piano terreno del Palazzo Garofalo, in Corso Italia a Ragusa. L’evento, organizzato da una privata galleria d’arte che ha tutto l’interesse a vendere i pezzi in mostra, è stato pubblicizzato pochissimo, eppure alla inaugurazione non eravamo in pochi, anzi. Ma si tenga anche conto che io ed il gruppo al quale mi accompagnavo, circa trenta persone, eravamo all’interno dello storico Palazzo della Ragusa Superiore solo per purissima coincidenza. Si era parte di una più ampia comitiva che al seguito del professore Giorgio Flaccavento passeggiava per le vie del centro storico ascoltando il docente di storia dell’arte riguardo alle caratteristiche del quartiere sorto sull’altopiano all’indomani del terribile terremoto del 1693.

Quindi la mia comitiva ha contribuito a rimpolpare il gruppo di astanti al Palazzo Garofalo al momento di inaugurare la mostra dove a farla da padrone erano soprattutto i quadri di quella pattuglia di grandi artisti che da ormai trenta anni è riconosciuto universalmente come il “Gruppo di Scicli”. Un gruppo che ha il suo riferimento nel più grande pittore italiano vivente, lo sciclitano Pietro detto Piero Guccione, la greco-argentina e bravissima pittrice Sonia Alvarez e tanti altri, dal romano Franco Sarnari al modicano Paolino, ai ragusani Sandro Bracchitta e Rosario Antoci.

Atmosfera, quella del Palazzo Garofalo quel sabato pomeriggio, del tutto inedita per Hicsuntleones, lumpenproletariat del secolo scorso, digiuno di arte e artisti, di cultura e happening.

E però anche Hicsuntleones è rimasto estasiato davanti ad alcune tele di Guccione, ha osservato comprendendo poco – invero – un quadro dal titolo “nero” di Sarnari, ha ammirato da lontano una foto di Antoci che lo stesso artista ad altri spiegava essere quella immagine un simbolo della “nuova” Ragusa, dal sintomatico titolo “la nuova Agorà” nel mentre mostrava un cantiere edile con al centro un cartello giallo e la scritta nera “Nuovo centro commerciale”.

Insomma, esperienza del tutto nuova e molto apprezzata da chi scrive, che però è rimasto interdetto davanti ad alcuni atteggiamenti che lo stesso ha ritenuto essere accademia, esibizione, “teatro” direbbe Camilleri per bocca di Montalbano. Alcuni astanti erano vestiti in maniera singolare: ma di moda, hanno spiegato i beni informati riferendosi anche ad alcuni eccentrici tagli di capelli di giovanottoni alti e magri di quasi sessanta anni (che abbiamo poi incontrato nel vicino Caffè Italia di Piazza San Giovanni sorbire beatamente un Jack Daniel’s, alle sette e mezza della sera). Ma quello che più ha colpito Hicsuntleones è stato l’aver ascoltato per non pochi minuti uno degli artisti del “Gruppo”, notoriamente sciclitano, descrivere alcune opere e farlo parlando in perfetto milanese. Quando ho chiesto ad un amico come mai quel simpatico (simpatico davvero, detto cioè senza alcuna ironia) signore parlasse così bene un italiano da Navigli, l’amico ha risposto: “ma come perché, perché è stato tante volte a Milano!”.

A quel punto si è introdotto un signore ragusano, di quelli col pelo sulla pancia e però perfettamente e interamente ragusano (nel senso di low profile, anzi, meglio, di understatement) che ha sorriso replicando: “secondo me parla in milanese perché non sa parlare in italiano”. Poi tutti al buffet, parlando il giusto, mangiando il troppo. E auguri di Buon Natale a tutti.

 

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