PRESENTATO IL LIBRO DI MICHELE ZISA “NATI MORTI”

 

In una bella cornice di pubblico numeroso e interessato si è svolta, venerdi 13 dicembre 2013 nei locali dell’auditorium B. Pace di Comiso,  la presentazione del nuovo romanzo di Michele Zisa “Nati Morti”. Madrina dell’evento è stata la presidentessa della Fidapa di Comiso, professoressa Francesca Cassarino. Il sindaco di Comiso ha salutato i presenti con un intervento mirato e competente, più da esperto di cose letterarie che da politico. Poi Maria Rita Schembari e Michele Zisa si sono alternati in un dialogo sull’opera, inframezzati dalle letture suggestive dell’attrice Rita Salerno. Il pubblico ha dimostrato di gradire restando incollato alle poltrone fino alla fine ed assediando poi l’autore per le dediche di rito. 
 

Nati Morti è il terzo lavoro narrativo di Michele Zisa, dopo Racconti minimi di un cacciatore e Non si parte, non si parte. Ancora una volta, come nel secondo dei due romanzi, la vicenda trae spunto da un fatto realmente accaduto negli anni successivi al secondo conflitto mondiale in una cittadina dell’estremo lembo di sud-est della Sicilia. Ma si tratta solo di uno spunto: i personaggi vengono completamente creati, o ri-creati, dalla fantasia dello scrittore e i luoghi filtrati liricamente dalla sua sensibilità, che sa restituire, di questa terra, colori ed odori di una bellezza struggente.

Personaggio protagonista della narrazione è un giovane garzone di bottega, amante della caccia, confusamente attratto da ideali egualitari di stampo comunista, che però interpreta velleitariamente, rimanendo pesantemente sconfitto in una società che ha fatto della sperequazione sociale la base solida del proprio status quo, da difendere con ogni mezzo. Accanto a lui, ad intrecciare per un breve ma significativo momento il proprio destino con quello di Biagio, è il personaggio di Laura, la moglie precocemente “invecchiata” – disillusa rispetto alle speranze di un fulgido futuro che il matrimonio con uno dei notabili del paese avrebbe fatto presagire – del farmacista di San Martino. Nella tranquilla vita del paesino, dove tutto sembra trascorrere normalmente dopo le devastazioni della guerra, la commedia dell’esistenza mette in scena sé stessa: il rispettabilissimo commendatore, con la connivenza del potere politico locale incarnato dal sindaco e con quella dell’onorevole, tira i fili dei pupi che si agitano nel teatrino delle marionette che lui osserva dall’alto del suo palazzo. Il potere militare dei carabinieri e dei vigili, che dovrebbe essere una garanzia per l’intera cittadinanza, è in realtà lo strumento col quale i diritti più elementari vengono conculcati. In questa situazione non resta che la rivolta, anzi, per definirla meglio, una reazione inconsulta e quasi istintuale che porterà solo morte e disperazione.

È la rivolta di Laura, che in una notte afosa d’estate tradisce il marito con Biagio, ma senza riuscire a portare il suo riscatto alle estreme conseguenze: lo confessa lei stessa all’amica più fidata, Giulia, di non essere capace di rinunciare ad una vita agiata, lei che era venuta dalla miseria, seguendo i palpiti del suo cuore. Quasi in uno strano gioco di compensazioni il coraggio che manca a Laura sarà quello che porterà Giulia a lasciarsi tutto alle spalle – famiglia, matrimonio, rispettabilità – per seguire in un’altra isola il suo amante. Ma Giulia era nata ricca, per lei tutto era stato sempre  più facile  e a lei tutto sarebbe stato perdonato.

Ed è ancora la rivolta di Biagio, nutrita dalle umiliazioni subite e dall’odio verso “i padroni”. Lo scrittore però, nonostante le simpatie per il personaggio, non può che criticare l’azione, vuota di senso e di un reale progetto politico. Biagio è un vinto, ed in un certo senso lo merita ( questo l’autore non lo ammette mai, ma si indovina tra le righe), perché ha pensato di farsi in qualche modo giustizia da solo, anzi di poter sedare da solo l’ansia di vendetta che lo consuma.

La sua azione si è indirizzata non contro chi reggeva i fili dei pupi – e questa sarebbe stata rivoluzione da esser scritta nei libri di storia – , ma contro un altro povero pupo come lui, con l’unica colpa di indossare una divisa e di essersi trovato per caso di passaggio nel posto in cui la “banda” di Biagio si era appostata in una notte calda d’estate e di fumi di vino.

Il romanzo si pone così sullo stesso filone della letteratura meridionale, della quale segue anche gli indirizzi di stile, che dai Vinti verghiani ai giovani protagonisti de Gli anni perduti di Vitaliano Brancati ha voluto raffigurare l’eterna lotta tra l’uomo e il suo destino, lotta sempre impari ma che in terre estreme, come la nostra, sembra assumere i tratti di una sconfitta “irredimibile”.

Le chiavi di lettura di un romanzo sono sempre molteplici. Molte sono consciamente pensate dall’autore, ma sicuramente altre sono sconosciute allo stesso. Quando si scrive, infatti, si racconta una storia che deve essere il pretesto per comunicare qualcosa ai lettori, al pubblico, alla gente. Siano i messaggi legati alle vicende personali, o quelli legati alle speranze e alle aspettative, o alle visioni più o meno utopiche sociali o politiche. Certo sempre, però, l’io e il vissuto dello scrittore entra nel racconto e lo permea di sè più o meno pesantemente. Sicuramente allora, quanto più l’autore è presente tanto più l’opera è genuina e ambisce a comunicare, ad arricchire, a stimolare, a emozionare. Nel caso contrario invece spesso l’opera è il frutto, sicuramente sempre gradevole, del mestiere di scrivere. La forma può essere anche superba ma senza un contenuto vero a che serve? Quanto valgono quei romanzi che finisci di leggere con gusto e poi dopo qualche giorno ti accorgi che di essi non ti è rimasto più niente? Alle volte non ti ricordi più neppure la storia e i personaggi. Quanta parte della letteratura recente appartiene a questa categoria? Quanta parte delle opere di tanti personaggi dello scrivere, prodotte a cadenza quasi industriale, una l’anno se non ancora più frequentemente, sono il frutto di una feconda ispirazione e non invece l’impegno contrattuale da rispettare? La difficoltà nel pubblicare sta sopratutto in questo, la logica commerciale che gli editori impongono alla letteratura contemporanea. Addirittura oggi, forse, è pure difficile parlare di letteratura. Non so se in quest’opera di “Nati morti” sono riuscito a trasmettere ai pochi lettori che mi onorano di leggere le mie parole quello che mi urgeva nel cuore e nella mente. Io spero che, leggendo di Biagio o di Laura o di Giulia o degli altri personaggi, chi si trova tra le mani questo romanzo si fermi a riflettere sui loro destini come paradigma dei destini di ognuno. Pensi alle  loro vicende come in qualche modo attuali nella nostra realtà ed emblematiche dell’aspirazione di ogni derelitto e oppresso a trovare un sogno a cui aggrapparsi per ambire a un domani migliore.  Un poco forse come i tanti migranti che arrivano nelle nostre coste, tra disagi e rovinose catastrofi, fanno tutt’ora. O come oggi vivono  i tanti che non hanno un posto in questa nostra società e si sbattono per riuscire invece a conquistare un briciolo di felicità in questo deserto di egoismo ed avarizia che ci circonda. “Nati morti” sembra essere pessimistico da questo punto di vista, ma in realtà non lo è.

 

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