Tomasi di Lampedusa, Ragusa e la Contea di Modica: Storie che si incrociano. di Uccio Barone

Pochi sanno che le vicende dei  Tomasi di Lampedusa incrociano la storia di Ragusa e della Contea.
L’ antico casato protagonista del celebre romanzo “Il Gattopardo” , infatti, prende le mosse da quel Mario Tomasi ( nativo di Capua ) giunto in Sicilia nel 1577 al seguito del vicere Marco Antonio Colonna e che ritroviamo capitano di giustizia a Ragusa nel 1580.
A lui era stato affidato il difficile compito di svellere le radici del brigantaggio rurale tra Agrigento e Licata, con metodi efficaci ma violenti descritti da Giovanni Marrone nel suo studio su “Città, campagna e criminalità nella Sicilia moderna” ( Palumbo, Palermo 2000 ). La caccia ai briganti si basava sull’ assedio di interi paesi , sulla requisizione arbitraria di derrate e beni, sugli arresti e sulle condanne a morte senza regolare processo, sull’ abominevole commercio delle teste : una testa mozza consegnata valeva la salvezza di un altro brigante o poteva essere venduta per un valore di mille scudi. A Favara, Naso e Tortorici le sevizie e le gozzoviglie della Compagnia d’ arme furono così efferate da costare a don Mario un processo penale nel 1584 ( i cui Atti si conservano nell’ Archivio Historico General di Simancas ) concluso alcuni anni dopo con una condanna temporanea alla forzata “estrazione” fuori Regno. L’ esiliato, giova ricordarlo, è il nonno del Duca-Santo e bisnonno della beata Corbera, personaggi del romanzo, come sottolinea Andrea Vitello nel suo libro “Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il Gattopardo segreto” ( Sellerio 2000 ).
Le vicende giudiziarie  del capitano  non interruppero tuttavia la fortunata ascesa sociale della famiglia. Nelle sue spericolate scorribande Mario Tomasi si fermava spesso a Licata, dove riuscì a sposare in seconde nozze nel 1583 Francesca Caro e Celestre, figlia unica del Barone di Montechiaro ed imparentata con i marchesi di S. Croce.  I vasti feudi della baronìa furono al centro di vorticose speculazioni ordite da Mario tornato dall’ esilio, finché da quell’ unione  nacquero nel 1597 i gemelli Ferdinando e Mario junior.  Alternando la residenza tra Licata e Ragusa i Tomasi allargarono la rete di relazioni economiche e parentali nella Contea di Modica, soprattutto quando nel 1613 l’ anziano capostipite riuscì a combinare uno “strepitoso” matrimonio del primogenito Ferdinando con Isabella La Restia figlia del Barone  Giulio e di Agata Jurato baronessa di S. Filippo. Si trattava della più titolata nobiltà iblea. La giovane Isabella era nipote diretta di Paolo La Restia, potente governatore della Contea dal 1601 al 1630, marchese di Cannicarao e cofondatore di Vittoria nel 1607 ( come risulta dagli studi di Paolo Monello ), cosicché si spiega la fastosa cerimonia nuziale celebrata nella chiesa di S. Giorgio a Ragusa. L’ anno dopo la ricca nobildonna dava alla luce un’ altra coppia di gemelli, Carlo e Giulio, protagonisti di  intense “vite parallele”.
Dobbiamo al compianto Mario Pavone la ricostruzione delle vicende del casato  nel volume “ I Tomasi di Lampedusa nei secoli XVII e XVIII” ( Centro Studi G.B. Hodierna , 1987 ). Il padre Ferdinando morì giovanissimo nel 1615, la madre Isabella nel 1634, allorché lo zio paterno Mario junior  richiamò a Licata i due gemelli per coinvolgerli nell’ amministrazione  del patrimonio familiare. In Sicilia era il tempo della fondazione di “città nuove”  da parte dell’ aristocrazia che intendeva investire nella trasformazione fondiaria dei feudi e commercializzare la produzione agricola. Il progetto dei Tomasi rientrava in tale scenario : si trattava di fondare un centro abitato  tra Licata ed Agrigento sulle terre di Montechiaro chiamando ad abitarvi i ragusani ed altri abitatori della Contea alla ricerca di fortuna economica e successo sociale. E da Ragusa partirono in tanti , al seguito di Carlo e di Giulio Tomasi che posero il 3 maggio 1637 la prima pietra di Palma di Montechiaro. Una vera e propria carovana da Far West guidata dall’ architetto Antonino Di Marco e dal  sacerdote-astronomo Gianbattista  Hodierna ( nel ruolo di arciprete della nuova comunità ) si trasferì nel nuovo sito . Nel 1640 Carlo decise di prendere i voti ed entrò nella Congregazione palermitana dei Teatini, cedendo i titoli ereditari e la stessa fidanzata, la nobildonna   Rosalia Traina nipote del vescovo di Agrigento, al fratello Giulio che può considerarsi l’ autentico “inventore” del paese.
Un fiume inarrestabile di coloni ragusani si affiancò ai migranti provenienti da altre zone dell’ isola e consolidò  in pochi decenni la struttura demografica di Palma di Montechiaro, che già nel 1652 contava 2500 abitanti e superava i 5000 nel 1670.  L’ eccezionale impulso dato dal Duca Giulio al processo di urbanizzazione è testimoniato dal numero di edifici e di opere pubbliche realizzate al servizio di una città fortemente intrisa di spirito religioso e pensata come “nuova Gerusalemme”. Il palazzo ducale con lo splendido soffitto decorato con gli stemmi degli ordini cavallereschi, il monumentale monastero delle suore benedettine, il convento degli Scolopi con l’ annesso Studium teologico, la torre costiera di difesa, l’ Ospedale e il Collegio delle “repentine”, soprattutto la chiesa di S. Giuseppe ( poi trasformata in chiesa matrice ) grazie alle cospicue donazioni finanziarie del nobiluomo Vincenzo Ottaviano, disegnano l’ inedito profilo di un’ aristocrazia ragusana “imprenditrice” e fortemente marcata da un’ utopia religiosa e sociale, come dimostrano l’ Istituzione del Monte di pietà, le opere pie annesse alle Confraternite laicali,l’ Asilo per le fanciulle povere.
 Giulio Tomasi ( il  Duca-Santo del “Gattopardo” ) meriterebbe un lavoro di ricerca più approfondito : dopo aver messo al mondo sei figli, ottenne dal Papa lo scioglimento del matrimonio, rinunciò al titolo ducale e condusse una vita ascetica da eremita, mentre anche la moglie Rosalia decise di entrare nel monastero di clausura insieme alle figlie.Una di loro, Isabella, col nome di suor Maria Crocifissa della Concezione diventò una celebre mistica : nel romanzo viene ricordata come la beata Corbera ed oggi è ancora in corso una causa di beatificazione ( rimando al bel libro di Sara Cabibbo e Marilena Modica, “La Santa dei Tomasi” , Einaudi 1989 ).   Dei figli maschi Giuseppe Maria seguì le orme dello zio Carlo entrando nell’ Ordine dei Teatini e diventando cardinale nel 1712 per i suoi studi sulla riforma della liturgia.
Una grande storia, che s’ Intreccia con la letteratura e fa riscoprire inedite chiavi di lettura del’ area iblea.
Uccio Barone

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