Legambiente svela l’assalto al petrolio in Sicilia. DOCUMENTO

Come volevasi dimostrare *la folle corsa all’oro nero continua*, nonostante le rassicurazioni del Governo dopo il referendum dello scorso anno: nuovi pozzi e nuove attività di prospezione mettono a rischio i mari italiani, a partire dal Canale di Sicilia. E quando le società petrolifere non riescono nel loro assalto, anche grazie all’opposizione delle comunità locali e delle categorie economiche, in primis quelle legate al turismo e alla pesca, ci pensa il Governo con l’ennesima norma pro trivelle: grazie a un decreto ministeriale dell’aprile scorso, infatti, si deroga al divieto di nuovi pozzi e nuove piattaforme entro le 12 miglia. *A farla da padrona* sono sempre le stesse compagnie: *Eni e Edison* *che **detengono tra concessioni, permessi e istanze di ricerca il 57% dei titoli su terra e mare siciliani. *

Per questo oggi *Goletta Verde* *ha assegnato la bandiera nera alle due compagnie petrolifere* Eni ed Edison che *in nome dei propri interessi e di una anacronistica quanto dannosa corsa alle fonti fossili e all’estrazione di idrocarburi sul territorio siciliano, sono arrivate a contestare con arroganza il piano paesaggistico in provincia di Ragusa*, i cui vincoli impedirebbero il loro programma estrattivo sull’isola. Il rischio concreto è che se il Tar dovesse accogliere il loro ricorso, non solo si aprirebbe la strada a ulteriori pozzi sul territorio, ma si ritornerebbe indietro di decenni ai tempi dell’assalto della cementificazione al territorio siciliano.

Il poco ambito vessillo che *Legambiente* attribuisce a chi è distinto per azioni contro il mare e le coste italiane è arrivato in occasione della presentazione del nuovo *dossier* dell’associazione sull’assalto dell’oro nero nel Canale di Sicilia, sui numeri e le storie dei nemici del clima, per promuovere la definitiva uscita dalle fossili e fermare l’estrazione di petrolio.

*La Sicilia, tra attività a terra e mare, nel 2016 ha contribuito al 25% della produzione nazionale di petrolio, con poco meno di 1 milione di tonnellate di greggio. Quantità che, stando agli attuali consumi, coprirebbero appena l’1,6% del fabbisogno del nostro Paese. *Ma alle 9 concessioni di coltivazione, se ne potrebbero aggiungere altre 4. Sono tante infatti le istanze di concessione di coltivazioni pervenute al Ministero e alla Regione Sicilia, in corso di valutazione di impatto ambientale. Numeri destinati a crescere ancor di più sia a terra che a mare se proseguiranno nel loro iter amministrativo i 12 permessi di ricerca vigenti e le 16 istanze di permesso di ricerca attive (per un totale di circa 19.400 kmq) a cui vanno aggiunti anche i due permessi di prospezione a mare che andrebbero a coprire un’ulteriore area di 6.380 kmq.

“Oggi con Goletta Verde assegniamo la bandiera nera ad Eni ed Edison, i due principali nemici del clima del nostro Paese – dichiara *Stefano Ciafani*, direttore generale di Legambiente – per la continua corsa all’oro nero nel canale di Sicilia e per l’arrogante ricorso presentato contro il piano paesaggistico approvato dalla provincia di Ragusa per tutelare un prezioso territorio della Sicilia sempre più vocato al turismo di qualità e allo sviluppo di attività economiche e culturali alternative al petrolio. Dove non arrivano le compagnie petrolifere ci pensa poi il Governo che, con norme ad hoc a favore di nuove trivelle e piattaforme petrolifere, smentisce definitivamente tutte le parole spese lo scorso anno per dire che il referendum sollevava questioni di lana caprina. È arrivato il momento di archiviare tutti i privilegi di cui godono i petrolieri, tanto più che le fonti rinnovabili, efficaci e sempre più competitive da un punto di vista economico, vengono frenate da questi privilegi e da assurde nuove barriere che ne impediscono la diffusione in un Paese che avrebbe tutto da guadagnare nel diventare sempre meno dipendente dalle fonti fossili e dalle importazioni”.

*Il caso più eclatante è sicuramente quello della Vega B.* Il canale di Sicilia oggi ospita, infatti, l’unica richiesta presente nel mare italiano, per la realizzazione di una nuova piattaforma petrolifera, la Vega B appunto, (nell’ambito di una concessione in comproprietà tra Edison ed Eni) a meno di 12 miglia dal sito di interesse comunitario Fondali Foce del fiume Irminio. Una richiesta che purtroppo ad oggi continua ad andare avanti nel suo iter autorizzativo. Nel luglio 2016 si è aperta addirittura una nuova istruttoria, conseguente alla richiesta di Edison di implementare il programma di coltivazione con ulteriori 8 pozzi, passando così dai 4 inizialmente previsti a 12, ovvero triplicandone il numero.
La stessa Eni nel progetto di rilancio delle attività dell’area industriale di Gela previste dal protocollo di intesa, firmato nella primavera 2014 da Regione Sicilia, Assomineraria, EniMed spa, Edison Idrocarburi Sicilia srl e Irminio srl, prevede 1,8 miliardi di euro per le attività di estrazione di petrolio a mare su un investimento complessivo di 2,2 miliardi di euro.

Ma anche a terra le cose non vanno meglio e al centro troviamo sempre le stesse due compagnie petrolifere Eni ed Edison. Dopo anni di battaglie dal 2016 la provincia di Ragusa ha il suo Piano paesaggistico, uno strumento che tutela lo straordinario patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico. Un principio del piano è che non si possa modificare la morfologia dei suoli e non si possano fare sbancamenti. Interventi necessari invece nei programmi di sviluppo e manutenzione a quanto pare necessari per le attività petrolifere delle due compagnie.
Nel ricorso di Eni ed Edison viene impugnato in particolare l’articolo 20 del Piano che divide i territori in tre zone di tutela. Se decadesse questo articolo salterebbero tutti quanti i piani paesaggistici della Sicilia che sono non regionali ma suddivisi per provincie. Saltando i piani paesaggistici, ad avere la meglio oltre al petrolio ci sarebbe sicuramente anche il cemento e i tanti progetti a cui questa pianificazione ha posto un freno.

“Colpisce l’accanimento di Eni ed Edison verso quel territorio, dove i giacimenti attuali sono in evidente di calo di produzione ormai da anni e dove è stato scelto un nuovo modello di sviluppo locale, basato su sostenibilità, cultura e turismo di qualità – dichiara *Gianfranco Zanna*, presidente di Legambiente Sicilia -. L’arroganza delle compagnie è innegabile quanto le assurde scelte di politica energetiche della Regione Sicilia. Tutto questo, infatti, sembra dare seguito agli impegni presi nel giugno di tre anni con un protocollo d’intesa firmato da Regione, società e Assomineraria, nel quale le parti si impegnavano ad intraprendere iniziative per rilanciare le attività produttive nell’isola. Scelte scellerate, dannose e che vanno contro le stesse decisioni delle comunità locali che stanno promuovendo con forza un altro modello basato su turismo culturale e agricoltura di qualità. Il Governo siciliano continua, insomma, a guardare al passato condannando la più grande piattaforma di energie rinnovabili del Mediterraneo, qual è la Sicilia, all’arretratezza e al sottosviluppo. Senza contare – conclude *Zanna* – che un eventuale incidente potrebbe causare danni incalcolabili alle coste siciliane dal punto di vista ambientale”.

*La produzione di petrolio* nel canale di Sicilia nel 2016 è stata di 277.504 tonnellate, 30mila in più rispetto all’anno precedente, corrispondente al 7,4% della produzione nazionale (terra e mare) e al 38,5% della produzione offshore del nostro Paese. Le concessioni di coltivazione attive ed operative sono 3, di cui 2 sono ubicate di fronte la costa di Gela ed appartengono alla Eni Mediterranea idrocarburi, mentre la terza concessione si trova di fronte la costa di Ragusa ed appartiene a Edison-Eni. In totale in queste concessioni di produzione sono installate 6 piattaforme con 36 pozzi; oltre alla produzione di petrolio, le stesse concessioni estraggono anche gas, anche se in misura modesta: poco più di 4 milioni di Standard metri cubi (Smc) corrispondenti al 0,094% della produzione nazionale a mare che ammonta a oltre 4,267 miliardi di Smc.
Nel 2017 la produzione nei primi 4 mesi (gennaio – aprile) è stata di 80.415 tonnellate di petrolio, circa il 30% in meno rispetto alla produzione nello stesso periodo dello scorso anno.
Ma le attività nel mar di Sicilia non finiscono qui, sono 5 i permessi di ricerca rilasciati e 6 le istanze di permesso di ricerca presentate per un totale di 4.328 kmq.
*Nel 2016 in Sicilia, invece, la quantità di greggio estratta a terra è stata di circa 679mila tonnellate*, il 18% del totale nazionale (terra e mare): 5 le concessioni di coltivazioni produttive per un totale di 113 pozzi. Oltre alla produzione di greggio, sulla terraferma siciliana *viene estratto anche gas da 12 concessioni* per un totale, nel 2016, di 213milioni di Smc, circa il 4% della produzione nazionale dello stesso anno. A queste concessioni se ne potrebbero aggiungere altre 3. Sono tante infatti le *istanze di concessione di coltivazione presentate alla Regione siciliana* di cui 2 di Eni Mediterranea Idrocarburi (denominate Cinquevie e Piano Lupo) ed una della Petrex Italia (denominata Bonincontro).
*Sette invece i permessi di ricerca rilasciati sulla terraferma, per una superficie totale di 4500 kmq,* distribuiti praticamente su tutto il territorio siciliano, andando da Palermo ad Agrigento, passando per Ragusa Siracusa Catania Enna e Caltanissetta. *Dieci, infine, le istanze di permesso di ricerca per un totale di 4.200 kmq.*

*Il dossier completo è disponibile al seguente link:*
*https://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/comunicati/dossier_petrolio_sicilia.pdf *

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