LA FURIA ICONOCLASTA DELL’ISIS, REALTA’ O FINZIONE?

In questi tempi non si fa che parlare di ISIS e delle sue atrocità, delle sue nefandezze, delle sue efferatezze.

Dopo le decapitazioni, le crocifissioni, i roghi umani, ultima in ordine di tempo: lo scempio arrecato al museo nazionale di Ninive, in Iraq, dove i miliziani hanno fatto un’irruzione distruggendo a martellate secoli, millenni di testimonianze di una cultura certamente locale ma altresì – come è stato commentato – mondiale. Questo perché la regione storica della Mesopotamia è culla della civiltà umana oltre che di quella irachena.

Non manca, sia fra gli arabi sia fra gli occidentali (noi in primis), chi rimpiange Saddam Hussein o Gheddafi.

Edward Luttwak, in una recente intervista rilasciata a Daniele Lazzeri, il chairman della rivista di geopolitica “Il Nodo di Gordio”, ha affermato che “in Libia hanno rimosso Gheddafi con quest’idea citrulla secondo cui: togli via il dittatore e viene la democrazia. No, nel mondo arabo togli la dittatura e viene l’anarchia, l’abbiamo viso paese dopo paese”.

E il critico d’arte Vittorio Sgarbi, in un’intervista radiofonica rilasciata a “Il Nodo di Gordio”, chiede l’istituzione di un Tribunale Internazionale per processare e punire i terroristi dell’ISIS che hanno distrutto il museo di Mosul in Iraq.

«Ci sarebbe da augurarsi che l’azione sia finta. Quello che hanno fatto non può essere perdonato, è una violenza contro Dio, un sacrilegio che non potranno non pagare. Io li inseguirò affinché paghino, sputino con il sangue quello che hanno fatto contro la civiltà. Neppure Hitler – osserva Sgarbi – si è spinto a tanto facendo violenza a testimonianze mute e inermi di civiltà».

Una furia iconoclasta veramente inspiegabile, prima di tutto perché, in un certo senso, in idiosincrasia con l’ordine di grandezza del principio stesso dell’iconoclastia all’interno dell’Islam. Ovvero della condizione di haram: di quelle situazioni o comportamenti vietati dalla fede islamica.

Infatti, in ottemperanza a tale principio niente dovrebbe riprodurre l’essere animato, facendo credere all’uomo di poter diventare un creatore egli stesso. Tuttavia, al di là delle varie eccezioni storiche (miniature, moschee, ecc.), tutti sono concordi nel ritenere che questi terroristi siano in grado di utilizzare le tecniche di comunicazione e di grafica in maniera tale da fare concorrenza ad Hollywood. Quindi, una certa contraddizione fra una predicazione ostile alle innovazioni, vagheggiante un ritorno alle origini e l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia atte a riprodurre delle immagini. 

In secondo luogo l’irragionevolezza di questo scempio non fosse altro che per un motivo: piuttosto di distruggere le statue sarebbe convenuto loro immetterle sul mercato clandestino allo scopo di finanziare la struttura dell’autoproclamatosi Califfato.

Possibile che – come commentano oggi molti blog – abbiano preso un abbaglio sulla veridicità delle statue? Il motivo per cui si sbriciolano facilmente – a quanto pare – è che sono fatte in gesso.

Una risposta potrebbe essere che, se l’attentato al patrimonio culturale dell’umanità sembra per il momento sventato, l’indignazione però rimane e forse distoglie, qui in occidente, dall’attenzione su altre priorità.

Peraltro, recentissima la notizia del quotidiano inglese, L’Observer, secondo cui “i servizi di sicurezza fossero a conoscenza che la cellula di 12 terroristi della zone occidentale di Londra – di cui era membro anche Mohammed Emwazi, alias Jihadi John – si era unita con i 4 mancati kamikaze del 21 luglio in un campo di addestramento nel Cumbria (contea dell’Inghilterra nord-occidentale al confine con la Scozia) l’anno prima (il 2004) che tentassero di ripetere il massacro” del 7 luglio.

Le “rivelazioni sollevano domande urgenti su come Emwazi sia riuscito a sottrarsi alla sorveglianza (degli 007), riuscendo a lasciare il Paese nel 2013 usando falsi documenti e riemergere l’anno dopo in Siria come il terrorista più ricercato al mondo”.

Del resto come scrive Andrea Marcigliano, L’IS, al contrario di Al Qaeda, si è caratterizzata nel tempo come un’organizzazione protesa a conquistare un ben preciso territorio, e ad assoggettarlo ad un proprio sistema statuale, amministrativo e giuridico. La sua azione, pertanto, è sempre stata prevalentemente diretta verso ben precisi teatri operativi, prima l’Iraq, poi la Siria, oggi, con un’espansione a macchia d’olio, il Libano, l’Egitto e, dalla Libia, i paesi del Maghreb.

Inoltre il principale obiettivo dell’IS non è rappresentato dal nemico Occidentale, considerato lontano, ma dai governi e regimi del mondo arabo-islamico considerati impuri ed apostati.

Tuttavia anche nel mondo occidentale, a quanto pare, certi costumi iniziano ad attecchire.

È il caso del velo islamico, altro elemento iconoclastico, se vogliamo. Alla Milano Fashion Week si è visto un velo griffato Moschino, con tanto di scritte dorate ad abbellirlo, indossato dalla rapper britannica Mathangi Maya Arulpragasam.

A ben vedere, nel mondo islamico, il velo sta svolgendo la medesima funzione che ebbe la minigonna nel mondo occidentale, sebbene all’opposto: un simbolo dello spirito del tempo. Un capo d’abbigliamento volto alla provocazione, un emblema della rivoluzione sessuale dagli anni ’60 fino ad oggi, la minigonna. Mentre, per converso nelle società islamiche, un ritorno alla tradizione, alla sottomissione – direbbe qualcuno – dopo la parentesi laicista dei vari nazionalismi, il velo.

Tuttavia, essendo degli estremi, degli opposti, tendono a trovare una loro “coincidentia”. Non mancano connotazioni simili, anche religiose in entrambi i simboli.

Si potrebbe addirittura estendere un’equazione fra velo, minigonna, burqa e costume evitico (cioè in questo caso non adamitico, essendo maschile).

Sono difatti omogenei, giacché tutti questi capi di abbigliamento uniformano il comportamento negando la personalità o l’individualità. Minigonna e velo sono dei vezzi modaioli che rispettivamente fanno intravvedere o celare quel poco che lascia il resto all’immaginazione. Burqa e costume evitico, invece, negano la personalità sussumendola alla categoria della femminilità. Inoltre entrambi possiedono connotazioni religiose estremizzanti, non essendo tradizionale il primo, mentre il secondo è ispirato al mito della nudità edenica.

Del resto, da alcune fotografie apparse sul web in cui appare in bikini, la terrorista Hayat Boumeddiene è la dimostrazione della presenza – forse schizofrenica o forse intenzionale – di entrambi i comportamenti in una medesima personalità.


http://www.nododigordio.org/in-evidenza/intervista-a-edward-luttwak-a-cura-di-daniele-lazzeri/.

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=10760.

https://it.notizie.yahoo.com/isis-boia-emwazi-membro-cellula-095159556.html.

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/califfo-e-dottore-1099294.html?mobile_detect=false.

http://www.kikapress.com/gallery/milano-fashion-week-2015-con-m-i-a-il-velo-si-fa-alla-moda.

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